Pietro, un uomo nel vento
Per guidare la Chiesa, Gesù non sceglie l'apostolo perfetto, no: Gesù sceglie il più umano, quello che è caduto più in basso. L'ultimo. Forse proprio per questo la Chiesa è riuscita a durare attraverso i secoli. Perché la sua forza nasce dalla fragilità. E infatti la storia di Pietro non finisce con il rinnegamento, con il Calvario e la crocifissione di Gesù. Anzi, in un certo senso, comincia proprio qui». Le cose più importanti della vita non si apprendono né si insegnano, ma si incontrano. Lo stesso è accaduto a Pietro: «Gesù guarda Simone, lo guarda fisso. Gesù che ti guarda fisso, oh: ma si può immaginare? E gli dice: Tu sei Simone, figlio di Giona. Ti chiamerai Kefa, che vuol dire pietra, da cui Pietro. Non lo conosce, non l'ha mai visto prima, e in una battuta gli dice chi è, chi era, e chi sarà. E gli cambia il nome! A Pietro si piegano le ginocchia, non si oppone, non fa resistenza: rimane senza parole. Rinuncia al suo nome, come se fosse normale che uno ti incontra e ti cambia il nome!
Benigni parlava di Pietro, ma in realtà parlava di noi.
Di ciò che siamo quando le nostre certezze traballano, quando il cuore ci tira da una parte e la paura dall’altra, quando vorremmo essere forti e invece ci scopriamo fragili come vetro al sole.
“Era come noi, anche lui aveva dubbi e paura.”
Una frase semplice.
Una frase immensa.
Perché ci ricorda che anche i giganti hanno tremato, che anche chi ha lasciato un segno nella storia ha conosciuto il buio delle indecisioni, il nodo alla gola, l’errore che brucia.
Benigni lo racconta innamorato della sua umanità.
Pietro che rideva a voce piena, che si commuoveva senza vergogna, che si arrabbiava come fanno le persone che sentono tutto troppo intensamente.
Pietro che promette “Io ci sono”, ma poi indietreggia.
Pietro che inciampa, che scappa, che cade… ma che ritorna sempre.
È questo che lo rende straordinario: non l’essere perfetto, ma l’essere vivo.
C’è un momento nel monologo in cui sembra quasi che una forza invisibile lo rialzi ogni volta. Una forza che non viene dalle sue sicurezze, ma da qualcosa che vede in lui più di quanto lui stesso riesca a vedere. Una fiducia misteriosa. Una scelta inspiegabile, e proprio per questo potentissima.
Pietro è l’uomo che trema davanti al vento, eppure un giorno si ritrova con in mano le chiavi di un destino enorme. Non perché fosse impeccabile, ma perché era autentico.
Perché non ha mai smesso di tornare dopo ogni caduta.
Perché il suo cuore, pur ferito, restava aperto.
E allora questo racconto diventa nostro, totalmente nostro.
Perché ognuno di noi sa cosa significa perdere l’equilibrio.
Sa cosa significa desiderare di essere all’altezza.
Sa cosa significa sentirsi chiamato a qualcosa che sembra troppo grande… eppure sentire che sì, forse, in qualche modo, quella porta è anche per noi.
La magia del monologo di Benigni è che non racconta un santo.
Racconta un essere umano che ha sbagliato, amato, lottato, pianto, sperato.
E che, nonostante tutto, è stato scelto.
Forse la verità nascosta è questa:
non sono gli infallibili ad avere la meglio. . .
ma chi sa di non essere perfetto e prova, caduta dopo caduta, di rialzarsi e ricominciare.💞
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