giovedì 19 dicembre 2024

Cos'è il Giubileo


 LA GRANDE FESTA DEL PERDONO

Nella Chiesa cattolica, il Giubileo (o Anno Santo) è il periodo durante il quale il Papa concede l’indulgenza plenaria ai fedeli che si recano a Roma e compiono particolari pratiche religiose. Attualmente i Giubilei si svolgono ogni 25 anni: gli Anni Santi ordinari sono stati (con quello del 2000) 26; quelli straordinari, concessi in occasione di particolari ricorrenze o in momenti difficili per la Chiesa e il Mondo, 95. La durata del Giubileo è di circa un anno.
"Giubileo" è il nome di un anno particolare: sembra derivare dallo strumento utilizzato per indicarne l’inizio; si tratta dello yobel, il corno di montone, il cui suono annuncia il Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur). Questa festa ricorre ogni anno, ma assume un significato particolare quando coincide con l’inizio dell’anno giubilare. Ne ritroviamo una prima idea nella Bibbia: doveva essere convocato ogni 50 anni, poiché era l’anno ‘in più’, da vivere ogni sette settimane di anni (cfr. Lev 25,8-13). Anche se difficile da realizzare, era proposto come l’occasione nella quale ristabilire il corretto rapporto nei confronti di Dio, tra le persone e con la creazione, e comportava la remissione dei debiti, la restituzione dei terreni alienati e il riposo della terra. Citando il profeta Isaia, il vangelo secondo Luca descrive in questo modo anche la missione di Gesù: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19; cfr. Is 61,1-2). Queste parole di Gesù sono diventate anche azioni di liberazione e di conversione nella quotidianità dei suoi incontri e delle sue relazioni. Bonifacio VIII nel 1300 ha indetto il primo Giubileo, chiamato anche “Anno Santo”, perché è un tempo nel quale si sperimenta che la santità di Dio ci trasforma. La cadenza è cambiata nel tempo: all’inizio era ogni 100 anni; viene ridotta a 50 anni nel 1343 da Clemente VI e a 25 nel 1470 da Paolo II. Vi sono anche momenti ‘straordinari’: per esempio, nel 1933 Pio XI ha voluto ricordare l’anniversario della Redenzione e nel 2015 papa Francesco ha indetto l’Anno della Misericordia. Diverso è stato anche il modo di celebrare tale anno: all’origine coincideva con la visita alle Basiliche romane di S. Pietro e di S. Paolo, quindi con il pellegrinaggio, successivamente si sono aggiunti altri segni, come quello della Porta Santa. Partecipando all’Anno Santo si vive l’indulgenza plenaria.

Pellegrinaggio
Il giubileo chiede di mettersi in cammino e di superare alcuni confini. Quando ci muoviamo, infatti, non cambiamo solamente un luogo, ma trasformiamo noi stessi. Per questo, è importante prepararsi, pianificare il tragitto e conoscere la meta. In questo senso il pellegrinaggio che caratterizza questo anno inizia prima del viaggio stesso: il suo punto di partenza è la decisione di farlo. L’etimologia della parola ‘pellegrinaggio’ è decisamente eloquente e ha subìto pochi slittamenti di significato. La parola, infatti, deriva dal latino per ager che significa “attraverso i campi”, oppure per eger, che significa “passaggio di frontiera”: entrambe le radici rammentano l’aspetto distintivo dell’intraprendere un viaggio.
Abramo, nella Bibbia, è descritto così, come una persona in cammino: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre” (Gen 12,1), con queste parole incomincia la sua avventura, che termina nella Terra Promessa, dove viene ricordato come «arameo errante» (Dt 26,5). Anche il ministero di Gesù si identifica con un viaggio a partire dalla Galilea verso la Città Santa: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme” (Lc 9,51). Lui stesso chiama i discepoli a percorrere questa strada e ancora oggi i cristiani sono coloro che lo seguono e si mettono alla sua sequela.
Il percorso, in realtà, si costruisce progressivamente: vi sono vari itinerari da scegliere, luoghi da scoprire; le situazioni, le catechesi, i riti e le liturgie, i compagni di viaggio permettono di arricchirsi di contenuti e prospettive nuovi. Anche la contemplazione del creato fa parte di tutto questo ed è un aiuto ad imparare che averne cura “è espressione essenziale della fede in Dio e dell’obbedienza alla sua volontà” (Francesco, Lettera per il Giubileo 2025). Il pellegrinaggio è un’esperienza di conversione, di cambiamento della propria esistenza per orientarla verso la santità di Dio. Con essa, si fa propria anche l’esperienza di quella parte di umanità che, per vari motivi, è costretta a mettersi in viaggio per cercare un mondo migliore per sé e per la propria famiglia. 

Porta Santa
Dal punto di vista simbolico, la Porta Santa assume un significato particolare: è il segno più caratteristico, perché la meta è poterla varcare. La sua apertura da parte del Papa costituisce l’inizio ufficiale dell’Anno Santo. Originariamente, vi era un’unica porta, presso la Basilica di S. Giovanni in Laterano, che è la cattedrale del vescovo di Roma. Per permettere ai numerosi pellegrini di compiere il gesto, anche le altre Basiliche romane hanno offerto questa possibilità.
Nel passare questa soglia, il pellegrino si ricorda del testo del capitolo 10 del vangelo secondo Giovanni: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Il gesto esprime la decisione di seguire e di lasciarsi guidare da Gesù, che è il Buon Pastore. Del resto, la porta è anche passaggio che introduce all’interno di una chiesa. Per la comunità cristiana, non è solo lo spazio del sacro, al quale accostarsi con rispetto, con comportamenti e con vestiti adeguati, ma è segno della comunione che lega ogni credente a Cristo: è il luogo dell’incontro e del dialogo, della riconciliazione e della pace che attende la visita di ogni pellegrino, lo spazio della Chiesa come comunità dei fedeli.
A Roma questa esperienza diventa carica di uno speciale significato, per il rimando alla memoria di S. Pietro e di S. Paolo, apostoli che hanno fondato e formato la comunità cristiana di Roma e che con i loro insegnamenti e il loro esempio sono riferimento per la Chiesa universale. Il loro sepolcro si trova qui, dove sono stati martirizzati; insieme alle catacombe, è luogo di continua ispirazione.


Professione di fede
La professione di fede, chiamata anche “simbolo”, è un segno di riconoscimento proprio dei battezzati; vi si esprime il contenuto centrale della fede e si raccolgono sinteticamente le principali verità che un credente accetta e testimonia nel giorno del proprio battesimo e condivide con tutta la comunità cristiana per il resto della sua vita.
Esistono varie professioni di fede, che mostrano la ricchezza dell’esperienza dell’incontro con Gesù Cristo. Tradizionalmente, però, quelle che hanno acquisito un particolare riconoscimento sono due: il credo battesimale della chiesa di Roma e il credo niceno-costantinopolitano, elaborato originariamente nel 325 dal concilio di Nicea, nell’attuale Turchia, e poi perfezionato in quello di Costantinopoli nel 381.
“Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,9-10). Questo testo di S. Paolo sottolinea come la proclamazione del mistero della fede richieda una conversione profonda non solo nelle proprie parole, ma anche e soprattutto nella propria visione di Dio, di se stessi e del mondo. «Recitare con fede il Credo significa entrare in comunione con Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ed anche con tutta la Chiesa che ci trasmette la fede e nel seno della quale noi crediamo» .

Carità
La carità costituisce una caratteristica principale della vita cristiana. Nessuno può pensare che il pellegrinaggio e la celebrazione dell'indulgenza giubilare possano essere relegati a una forma di rito magico, senza sapere che è la vita di carità che da loro il senso ultimo e l'efficacia reale.
D’altronde, la carità è il segno preminente della fede cristiana e sua forma specifica di credibilità. Nel contesto del Giubileo non sarà da dimenticare l'invito dell’apostolo Pietro: “Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8).
Secondo l'evangelista Giovanni, l'amore verso il prossimo, che non viene dall’uomo, ma da Dio, permetterà di riconoscere nel futuro i veri discepoli di Cristo. Risulta, quindi, evidente che nessun credente può affermare di credere se poi non ama e, viceversa, non può dire di amare se non crede.
Anche l'apostolo Paolo ribadisce che la fede e l'amore costituiscono identità del cristiano; l'amore è ciò che genera perfezione (cfr. Col 3,14), la fede ciò che permette all'amore di essere tale.
La carità, dunque, ha un suo spazio peculiare nella vita di fede; alla luce dell’Anno Santo, inoltre, la testimonianza cristiana deve essere ribadita come forma maggiormente espressiva di conversione.


Riconciliazione
Il giubileo è un segno di riconciliazione, perché apre un «tempo favorevole» (cfr. 2Cor 6,2) per la propria conversione. Si mette Dio al centro della propria esistenza, muovendosi verso di Lui e riconoscendone il primato. Anche il richiamo al ripristino della giustizia sociale e al rispetto per la terra, nella Bibbia, nasce da una esigenza teologica: se Dio è il creatore dell’universo, gli si deve riconoscere priorità rispetto ad ogni realtà e rispetto agli interessi di parte. È Lui che rende santo questo anno, donando la propria santità.
Come ricordava papa Francesco nella bolla di indizione dell’anno santo straordinario del 2015: “La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere […]. Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova” (Misericordiae Vultus, 21). Concretamente, si tratta di vivere il sacramento della riconciliazione, di approfittare di questo tempo per riscoprire il valore della confessione e ricevere personalmente la parola del perdono di Dio. Vi sono alcune chiese giubilari che offrono con continuità questa possibilità. Puoi prepararti seguendo una traccia.


Indulgenza Giubilare
L’indulgenza è manifestazione concreta della misericordia di Dio, che supera i confini della giustizia umana e li trasforma. Questo tesoro di grazia si è fatto storia in Gesù e nei santi: guardando a questi esempi, e vivendo in comunione con loro, si rafforza e diviene certezza la speranza del perdono e per il proprio cammino di santità. L’indulgenza permette di liberare il proprio cuore dal peso peccato, perché la riparazione dovuta sia data in piena libertà.
Concretamente, questa esperienza di misericordia passa attraverso alcune azioni spirituali che vengono indicate dal Papa. Chi, per malattia o altro, non può farsi pellegrino è comunque invitato a prendere parte al movimento spirituale che accompagna quest’Anno, offrendo la propria sofferenza e la propria vita quotidiana e partecipando alla celebrazione eucaristica.


Preghiera
Vi sono molti modi e molte ragioni per pregare; alla base vi è sempre il desiderio di aprirsi alla presenza di Dio e alla sua offerta di amore. La comunità cristiana si sente chiamata e sa che può rivolgersi al Padre solo perché ha ricevuto lo Spirito del Figlio. Ed è, infatti, Gesù ad aver affidato ai suoi discepoli la preghiera del Padre Nostro, commentato anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. CCC 2759-2865). La tradizione cristiana offre altri testi, come l’Ave Maria, che aiutano a trovare le parole per rivolgersi a Dio: «È attraverso una trasmissione vivente, la Tradizione, che, nella Chiesa, lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare». I momenti di orazione compiuti durante il viaggio mostrano che il pellegrino ha le vie di Dio “nel suo cuore” (Sal 83,6). Anche a questo tipo di ristoro servono le soste e le varie tappe, spesso fissate attorno ad edicole, santuari, o altri luoghi particolarmente ricchi dal punto di vista del significato spirituale, dove ci si accorge che – prima e accanto – altri pellegrini sono passati e che cammini di santità hanno percorso quelle stesse strade. Le vie che portano a Roma, infatti, spesso coincidono con il cammino di molti santi.




mercoledì 18 dicembre 2024

Ultima parte del Padre Nostro

 IL PADRE NOSTRO

   NON CI ABBANDONARE ALLA TENTAZIONE 

(MATTEO 6, 7-13) 
"Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo]: “pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male."

Il Padre nostro non è una delle tante preghiere cristiane, ma la preghiera dei figli di Dio, insegnateci direttamente da Gesù stesso. Ci è stata consegnata nel giorno del nostro Battesimo, ci apre il cuore a Dio, il Padre nostro ci dispone anche all’amore fraterno. Attraverso questa preghiera fatta di IMPEGNI E RICHIESTE,  ci impegniamo
  • che il Suo Nome sia santificato nella nostra vita, cioè che ognuno di noi diventi testimone credibile della Sua presenza nel mondo;
  • che ognuno di noi diventi co-costruttore insieme a Lui del Suo Regno di pace, attraverso l'impegno ricevuto nel Battesimo ( re-profeti-sacerdoti);
  • che ci aiuti a entrare nella Sua Volontà e a compierla con gioia così come accade in cielo, nutrendo la speranza che è quella che ci porterà alla salvezza.
Subito dopo gli facciamo tre richieste:
  • di darci sempre il Suo Pane Eucaristico in primis e poi tutto ciò che è indispensabile ( non il superfluo) alla nostra vita;
  • la seconda richiesta è quella relativa al perdono dei nostri peccati e conseguentemente di riuscire ad essere misericordiosi con chi ci ha fatto del male;
  • la terza ed è quella su cui ci soffermeremo stasera è la richiesta di aiuto nella battaglia quotidiana con il male. E' con questa penultima invocazione che il nostro dialogo con il Padre celeste entra, per così dire, nel vivo del dramma, cioè sul terreno del confronto tra la nostra libertà e le insidie del maligno.
Nel 2017, Papa Francesco ha approvato una modifica della traduzione italiana del Padre Nostro, sostituendo “non indurci in tentazione” con “non abbandonarci alla tentazione” per chiarire meglio il significato. Questo cambiamento è stato fatto per evitare l’idea che Dio possa “indurre” qualcuno in tentazione, concetto che non sarebbe coerente con la bontà e la misericordia di Dio. La frase “non ci indurre in tentazione” nella versione precedente del Padre Nostro era una traduzione letterale del testo greco originale del Vangelo di Matteo (6,13).La nuova traduzione “non abbandonarci alla tentazione” è stata scelta per esprimere meglio il significato del testo originale, ovvero chiedere a Dio di non permettere che la tentazione ci sopraffaccia e di non lasciarci soli di fronte alle prove. Questo riflette una comprensione più chiara del fatto che Dio ci sostiene nelle difficoltà e ci dà la forza per resistere alle tentazioni. Ricordiamo comunque che Gesù stesso ha sperimentato sulla sua pelle prove e tentazioni per questo “sa compatire le nostre infermità” e per il fatto di essere stato messo alla prova, è in grado di venire in aiuto di coloro che subiscono la tentazione (Eb 4,15; 2,18)
La vita spirituale del cristiano non è pacifica, lineare e priva di sfide; al contrario, la vita cristiana esige un continuo combattimento: il combattimento cristiano per conservare la fede, per arricchire i doni della fede in noi. Non a caso, la prima unzione che ogni cristiano riceve nel sacramento del Battesimo è l’unzione catecumenale  che annuncia simbolicamente che la vita è una lotta.  Infatti, nell’antichità, i lottatori, prima della gara, venivano completamente unti, sia per tonificare i muscoli, sia per rendere il corpo sfuggente alla presa dell’avversario. L’unzione dei catecumeni mette subito in chiaro che al cristiano non è risparmiata la lotta, che un cristiano deve lottare: anche la sua esistenza, come quella di tutti, dovrà scendere nell’arena, perché la vita è un avvicendarsi di prove e di tentazioni. Un celebre detto attribuito al un grande padre del monachesimo, recita così: “Togli le tentazioni e nessuno sarà salvato”. I santi non sono uomini a cui è stata risparmiata la tentazione, bensì persone ben coscienti del fatto che nella vita si affacciano ripetutamente le seduzioni del male, da smascherare e da respingere. Tutti noi abbiamo esperienza di questo: un cattivo pensiero, un desiderio omicida o un intenzione di arrecare danno a qualcuno tipo vendetta. Tutti tutti siamo tentati, e dobbiamo lottare per non cadere in queste tentazioni. Non si deve equivocare pensando che la tentazione sia il peccato. Una persona, infatti, può sentire una fortissima tentazione da parte del demonio, o della sua carne (Giac 1,14), o del mondo, ma senza fare peccato. Una cosa è sentire la tentazione, un’altra cosa è acconsentire alla tentazione, commettendo il peccato, il male, l’errore. Proprio per non fare peccato Gesù ci dice di “vegliare e pregare” (Mt 26,41).
Si pecca, non quando si sente la tentazione, ma quando si acconsente alla tentazione con piena avvertenza, lucida coscienza e con deliberato consenso, determinata volontà.
I Santi hanno sentito e subìto le tentazioni più forti e seducenti, più malvagie e vessatorie, ma non hanno acconsentito, non hanno ceduto al peccato, hanno resistito alle tentazioni, le hanno allontanate, non sono caduti nel male. Inoltre, proprio vincendo queste tentazioni hanno acquisito meriti e premi, grazie e ricompense qui sulla Terra e poi in cielo. I Santi sono stati provati dalle tentazioni, ma non sedotti e ingannati.

Tornando al discorso dei cambiamenti adottati sull'ultima parte del Padre Nostro c’è da aggiungere che nel nuovo Messale si è persa l’occasione di portare all’originale di traduzione e di senso l’espressione: «Ma liberaci dal male». Infatti la traduzione fedele del testo di Gesù è «Ma liberaci dal maligno». Sembra che oggi non si voglia più parlare del “Maligno” come di un essere personale, nemico, cattivo, falso, omicida, superbo, ribelle ecc.
Si preferisce, invece, parlare di “male” generico, astratto, impersonale che però non è certo nel pensiero, nelle parole, nella cultura di Gesù e del suo tempo. Oggigiorno si cerca di oscurare il maligno, Satana, il demonio, perfino di negarlo. Così facendo non facciamo altro che il suo gioco. Lui il demonio non vuole mai dichiarare la sua identità, infatti si traveste da agnellino ingannando tutti quelli che ignari e sprovveduti si lasciano lusingare.
Sarebbe stato più urgente e necessario sostituire la parola male con il termine originale maligno, perché oggi il concetto di male sembra aver perso i suoi reali connotati.
Infatti il male è diventato un pensiero debole e liquido, al punto tale che non solo non si sa più cosa sia, ma addirittura viene considerato come un bene, come un diritto (pensiamo alla nuova ideologia del Gender)Oggi questi fenomeni di negazione del peccato, di travisamento del Male in Bene sono una vera e propria emergenza morale, sociale nonchè pastorale. L’uomo si mette al posto di Dio emanando le proprie leggi che non corrispondono più alle verità di Dio e che non sono conformi a Cristo “Via Verità e Vita”, ma rispecchiano piuttosto ciò che l’uomo pensa e vuole, rincorrendo a falsi idoli e istinti malati e deformi, in nome, non tanto della sua libertà, ma della sua autonomia da Dio, della sua indipendenza dalla Parola di Dio, dalla sua contrapposizione alla legge e alla volontà di Dio. Dio non ci tenta al male. Beato l'uomo che resiste alla tentazione perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promesso a quelli che lo amano. Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni (malvagie), che lo attraggono e lo seducono; poi le passioni concepiscono e generano il peccato, e il peccato, una volta commesso, produce la morte. (Gc 1,12-15).

DIFFERENZA  TRA  PROVA  E  TENTAZIONE

Da premettere. . . .
Dio non ha bisogno di mettere alla prova per conoscere il cuore dell’uomo, semmai è il cuore dell’uomo che mostra e conosce la verità del suo essere nel momento della PROVA. Vista dalla parte di Dio la prova è il momento concreto in cui la fede manifesta i suoi effetti nelle scelte dell’uomo. La fede non è tale se non attraverso la prova. È nella prova che la fede diventa vera e si manifesta e, vedendo e riconoscendo Dio nella prova, la fede ne esce arricchita e cresciuta. Sono numerose le storie dei singoli personaggi biblici e dell’intero popolo d’Israele nelle quali proprio la prova è l’elemento centrale e determinante, basti per tutti il ricordo delle “prove” che il popolo deve affrontare nel deserto: prove che educano, guidano e plasmano il popolo che Dio si è scelto. È attraverso quelle prove che Israele cessa di essere un popolo tra gli altri per essere il popolo che confida in Dio, che si affida al Dio che lo ha scelto.  Nell’orto del Getsemani Gesù sperimenta il momento della prova che diventa tentazione, tentazione di allontanare da sé il calice, di allontanarsi dalla volontà di Dio, ma egli non cede alla tentazione e supera la prova con la preghiera di affidamento alla volontà di Dio. Ecco la differenza. Non cadere nella trappola di acconsentire al male di sopraffarci. Prova e tentazione possono diventare allora due facce della stessa realtà: prova per la quale la fede si invera e matura, tentazione per la quale la fede può cadere e risultare menzognera. Gesù stesso supera nel deserto le tentazioni di Satana (Mt 4,11 ) che, proprio perché superate e vinte, diventano per lui una prova della fedeltà a Dio e alla sua missioneLa tentazione diventa prova nella misura in cui non si cede ad essa ma la si supera. "Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Matteo 26:41.

Dobbiamo essere sobri di mente e vigili. Satana è sempre in agguato, in attesa di un'opportunità, per trovare una crepa in cui infilarsi. Abbassare la guardia contro il peccato anche solo per un momento gli dà il momento che stava aspettando. Tutto il suo desiderio è allontanarci da Dio. Se vegliamo e preghiamo, allora possiamo sempre resistergli, fermi nella nostra fede, sapendo che lo stesso tipo di sofferenze sono sperimentate dalla nostra fratellanza in tutto il mondo. (1 Pietro 5:8-9)

Noi abbiamo passioni e desideri cattivi nella nostra carne che ci attirano e ci seducono. Soltanto attraverso la potenza di Dio possiamo vincere. Gesù ha sperimentato la stessa cosa quando visse sulla terra. Lui dovette pregare con forti grida e lacrime a suo Padre. Anche lui dovette essere allerta e in guardia in modo che il peccato non potesse entrare nel suo cuore. Ogni tentazione è originata dalle nostre passioni. Ognuno di noi sperimenta la concupiscenza perché tutti siamo nati col peccato originale. 

Il demonio come essere personale è una verità di fede, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica. Il primo gesto di Cristo all’inizio della vita pubblica, dopo essere stato investito dallo Spirito, è il confronto con Satana nel deserto (1,12-13) e il suo primo intervento sull’uomo è una liberazione dallo spirito immondo (1,23ss) in giorno di sabato nella sinagoga. La tentazione può essere definita come "uno stimolo o un invito a peccare, con l'implicita promessa che seguire la via della disobbedienza procurerà un bene maggiore". Il primo passo per resistere alla tentazione è sapere che Satana è il supremo "tentatore". Alla fine, però, sappiamo che il potere di Satana sui Cristiani è stato di fatto distrutto perché la guerra è stata già vinta mediante la morte e la risurrezione del nostro Salvatore, che ha sconfitto il potere del peccato e della morte per sempre. Nonostante ciò, Satana si aggira comunque sulla Terra cercando di seminare zizzania tra Dio e i Suoi figli, e le sue tentazioni sono purtroppo una costante quotidiana della nostra vita. La tentazione è necessaria alla nostra vita. L’uomo ha bisogno di essere assoggettato ad essa per conoscersi. La tentazione infatti mette in evidenza ciò che siamo, perché nel nostro essere ci sono cose nascoste e ignorate persino da noi stessi, che non vengono alla luce, né si conoscono se non nella tentazione. Se Dio non permettesse più a Satana di tentare l’uomo, sarebbe come un maestro che smettesse di insegnare. Dalla Genesi fino all'Apocalisse l'uomo è esposto alle seduzioni del maligno: satana semina zizzania in mezzo al grano buono, divide, inganna per condurci alla morte. Ricordiamo che la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo e di questa invidia ne fanno esperienza coloro che gli appartengono. Egli, il demonio è omicida fin dal principio, perciò genera omicidi seminando odio tra i fratelli. Una volta espulso ritorna più forte di prima per questo dobbiamo continuamente invocare l'aiuto di Dio attraverso la supplica "liberaci dal maligno". Anche la preghiera sacerdotale che Gesù innalza al Padre per noi è centrata su questa supplica" non ti chiedo che tu li tolga dal mondo ma che li custodisca dal maligno". Leone ruggente che va costantemente in cerca di chi divorare. 

RESISTIAMOGLI ATTRAVERSO LA FEDE LA PREGHIERA I SACRAMENTI E LA CARITA'.

Questa è la pedagogia di Dio: lasciare che i suoi figli vengano tentati per mostrar loro la sua misericordia, il suo amore e la sua fedeltà. Dio non permette che l’uomo venga tentato per allontanarlo da sé, bensì per avvicinarlo e provare se è fedele. Così prova Abramo, Isacco, Giacobbe… Così provò Israele nel deserto. La tentazione serve all’uomo da crogiuolo, come scrive il Siracide: “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione; abbi un cuore retto e sii cosciente, non ti smarrire nel tempo della seduzione perché con il fuoco si prova l’oro, e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore”. La fede cristiana è sottoposta al crogiuolo della tentazione che genera pazienza e con questa la speranza che non delude, permettendo di restare radicati nell’amore di Dio. Come dice S. Giacomo: ” Con la prova gli dà la forza di sopportarla e la corona della vita promessa”. E ancora: “Considerate perfetta letizia miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza”. Ancora Dio permette che veniamo tentati per mostrare che la sua potenza è superiore a quella del maligno, tanto che pur permettendo che da esso veniamo tentati, non permette che da esso veniamo schiacciati intervenendo nella nostra vita con la sua potenza liberatrice, come dice il salmo 65: “Dio ci hai messi alla prova, ci hai passati al crogiuolo come l’argento. Ci hai fatto cadere in un agguato, hai messo un peso ai nostri fianchi, hai fatto cavalcare uomini sulle nostre teste, ci hai fatti passare per il fuoco e l’acqua, ma poi ci hai dato sollievo”. L’arrivo del sollievo è la liberazione dalla tentazione. Che Dio permetta al demonio di suggestionarci è un grande mistero ma sappiamo che tutto concorre al bene.

SANT'AMBROGIO CONCLUDE :
"CHI CONFIDA IN DIO NON TEMA IL DEMONIO PERCHE' SE DIO E' PER NOI CHI SARA' CONTRO DI NOI?"
Questa petizione chiude il Padre nostro: chiedendo al Padre di essere liberati dal maligno in realtà imploriamo la Sua Signoria nella nostra vita e con essa la libertà la gioia, la pace e l'unità.