sabato 29 aprile 2017

Santa Caterina da Siena


  "Nell’amaritudine gusterai la dolcezza,  e nella guerra la pace"

 

Rileggere la vita di Santa Caterina da Siena (1347-1380) non è solo tenere a mente l’esistenza di una splendida domenicana, ma è soprattutto far rivivere la testimonianza di una delle compatrone di Europa, insieme a San Francesco di Assisi, San Benedetto da Norcia, i Santi Cirillo e Metodio, Santa Edith Stein e Santa Brigida di Svezia. Questi, pur nella diversità dei propri carismi, hanno saputo portare il vangelo e la pace, nel loro mondo.

Santa Caterina da Siena, di cui oggi ricorre la festa, è la spiegazione migliore della pagina del Vangelo di oggi: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te”. In un momento storico in cui certamente le donne non avevano nessun particolare peso nella società, e in un mondo dominato dalla violenza, dalla politica e da una certa cultura saccente, il Signore suscita questa straordinaria donna come un segno grande per la sua epoca e non solo. La sapienza di questa donna non nasce dai libri ma dalla relazione con Cristo. Questo è un segreto che molto spesso noi cristiani dimentichiamo: si cresce nella vita spirituale non per acquisizioni di concetti e ragionamenti astratti, ma attraverso l’esperienza. Stare con Gesù, costruire con Lui un rapporto privilegiato, ci rende partecipi della luce di Dio. Non a caso questa donna non dotta e ignorante, ci ha lasciato una strada dottrinale che nei secoli la Chiesa non solo ha riconosciuto vera ma l’ha anche additata come affidabile. Il titolo di dottore della Chiesa sta a significare esattamente questo: un particolare contributo a rendere visibile una via cristiana fino ad allora sconosciuta o poco praticata. Ma il frutto di questa sapienza che nasce dalla relazione con Cristo in che cosa consiste? Negli applausi del mondo? Certamente no, ma consiste in una cosa che cerchiamo tutte le mattine senza riuscire mai a trovare: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”. Ogni giorno cerchiamo qualcosa che ci dia pace. Chi ha trovato Cristo e la Sua sapienza ha trovato ciò che gli dà pace, ciò che lo fa respirare, ciò che lo rende lieto anche in mezzo alla tempesta.                          

Caterina nasce a Siena in una famiglia numerosissima, modesta ma non povera, da Lapa e da Giacomo Benincasa. Proprio in quell'anno (1347) erano apparsi in Europa i primi orrendi segni della peste che farà più di venti milioni di vittime. In Italia anche le fiorenti città della Toscana come Siena erano state contagiate dai viaggiatori provenienti da Venezia dove attraccavano le navi partite dai porti dell'Asia. Caterina fino all'adolescenza vive nel chiuso della casa di famiglia dove il suo comportamento caparbio e silenzioso preoccupa i genitori: mangia pochissimo, si dedica a dure pratiche ascetiche, si isola dalla vita familiareLa madre Lapa aveva dato alla luce due gemelle, Caterina e Giovanna, ma Giovanna morì quasi subito, così a Caterina vennero spesso rinfacciati i suoi obblighi nei confronti della famiglia, in quanto era stata una bambina speciale, sopravvissuta alla gemella. Anche la sorella nata due anni dopo, e chiamata Giovanna in memoria della gemellina, morì prematuramente, alimentando in Caterina l’impressione di vivere la vita al posto di qualcun altro.

A quindici anni si unisce al gruppo delle Mantellate, donne laiche e benestanti che sotto la guida dei domenicani, pur continuando a vivere in famiglia, praticavano un regime di vita religiosa e povera e prestavano quotidiana assistenza agli indigenti della città. Caterina adotta le loro regole con estremo fervore e senza nessuna prudenza: è giovanissima e bella e la sua dedizione totale alle opere di misericordia desta sospetti e maldicenze fra le compagne. Vive una duplice vita: nel chiuso delle mura domestiche gioisce delle visioni divine talvolta violente e sempre inebrianti per la presenza vivida di un Cristo uomo sofferente e amoroso; fuori nelle strade della città cura instancabilmente i derelitti e i malati, con quell'amore «che è uno e medesimo».

Questa santa sembra aver avuto qualcosa in comune con le persone anoressiche contemporanee. Della sua vita si conoscono molti dettagli grazie alla biografia scritta (dieci anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1380), dal suo confessore e guida spirituale, il frate predicatore Raimondo da Capua. Fatte salve le differenze di contesto culturale (senza il quale questa malattia non può essere compresa), è possibile affermare che Caterina utilizzò il digiuno e le privazioni come strumento di affermazione di un’identità da lei altrimenti percepita come evanescente. 

L’analisi del suo rapporto con la madre e con il padre Giacomo, ampiamente raccontato da Raimondo da Capua, può essere utile per lo studio del contesto familiare e sociale in cui si sviluppò la sua anoressia. Quando Caterina veniva punita dalla madre non protestava in nessun modo, anzi, accettava la punizione, anche fisica, attribuendosi tutta la responsabilità dell’errore (per lo più l’essere venuta meno a questi obblighi), e trasformando il castigo in un’affermazione morale, quindi in soddisfazione di sé. La sua decisione di farsi monaca non fu ben accolta dalla famiglia, ma anche in questo caso, seppure con una modalità diversa, Caterina arrivò ad affermare sé stessa con qualunque mezzo, come ad esempio imponendosi il voto del silenzio per ben tre anni. Non solo. Si flagellava, dormiva pochissimo ogni notte sdraiata su un’asse di legno, iniziò a mangiare solo pane, acqua e vegetali crudi dall’età di sedici anni. La madre non poteva che assistere alla sua autodistruzione e ogni tentativo di rallentarla veniva aggirato da Caterina (quando Lapa le impose di dormire insieme a lei, Caterina nascose un pezzo di legno nel letto per potersi pungolare mentre la madre dormiva). 

 

Alla fine Caterina nemmeno divenne una suora, ma una sorella della penitenza, una terziaria che non voleva saperne di stare chiusa in un chiostro, ma che sentiva la necessità di muoversi per mostrare la sua abnegazione a Cristo. Come accadde anche alla mistica Giovanna D'Arco, per Caterina la privazione andò di pari passo con l’autodeterminazione, con l’imposizione della sua volontà su quella della madre prima e dei suoi padri spirituali poi. Il suo digiuno non era ben visto da tutti, molti l’accusavano di essere una mistificatrice, alcuni addirittura dicevano che Caterina segretamente mangiasse in abbondanza. 

 

Dalle sue confessioni a da Capua emerge invece un quadro diverso: Caterina, come altre persone affette da anoressia, non riusciva a mangiare, e anche laddove si costringeva a un seppur minimo regime alimentare, era tormentata da dolori all’addome e vomito. Come anche altre digiunatrici del suo tempo, Caterina sublimava il cibo nell’ostia consacrata e attraverso questa sublimazione non sentiva più il bisogno di mangiare. L’umiltà che Caterina manifestava nei confronti di Cristo non aveva alcun riscontro nelle sue relazioni umane dove si mostrava stranamente ammonitrice: nei confronti dei fratelli, nei confronti di Lapa (il loro rapporto madre-figlia appare assai articolato e sarebbe interessante poterlo studiare attraverso gli strumenti forniti dalla psicologia e dalla psichiatria), nei confronti di Papa Gregorio XI. Perfino nei confronti di Dio il suo comportamento non appariva passivo. 

 

Il suo rapporto con Dio, ovviamente non mediato ma diretto, era a tratti singolare, Caterina sembrava contrattare con Dio anziché assoggettarsi alla sua volontà. In due casi in particolare si ritrovò a mettere in atto un meccanismo di punzione/ricompensa inconsapevole: la prima volta in occasione della morte del padre Giacomo, di cui accettò tutte le punizioni terrene a patto che avesse accesso diretto al Regno dei Cieli, e la seconda volta durante un periodo di malattia di Lapa, affinché Dio la guarisse. Con tutti Caterina cercava di affermare la sua volontà, ma non poteva riuscirci sempre. Dopo la morte di Papa Gregorio XI, Caterina non trovò un interlocutore altrettanto paziente nel suo successore, Urbano VI. L’incapacità di quest’ultimo di mantenere il Papato a Roma (cosa che Caterina desiderava più di ogni altra cosa) e di arrestare lo scisma, si collegò ad un periodo di tremenda depressione per Caterina. Arrivata al limite della sua anoressia, Caterina si rifiutò anche di bere acqua, come estremo gesto di mortificazione affinché Dio salvasse la Chiesa. Sopravvisse tre mesi, durante i quali conobbe una lenta e prolungata agonia, con momenti di mancanza totale di lucidità. Nonostante i molti ostacoli che la Chiesa le mise davanti quando era in vita, Caterina venne canonizzata, nominata dottore della Chiesa e Santa patrona di Italia. 

 

IL MANTELLO DI SANTA CATERINA

Una volta, santa Caterina da Siena, da una finestrella vide un mendicante steso all'angolo della via. Mentre recitava le preghiere, l'immagine di quel poveretto esposto al freddo, non la lasciò un istante. Infine, non potendo più resistere, corse in cucina a prendere del pane per deporlo presso il dormiente. Lo trovò invece sveglio e parecchio infreddolito: "Non avresti qualcosa per coprirmi?" - chiese. Per tutta risposta Caterina si tolse il mantello nero della penitenza e glielo diede, rammaricandosi di non poter dargli anche le vesti, per via della gente. Alla notte seguente Gesù le comparve in visione dicendole, compiaciuto: "Figlia mia, oggi hai coperto la mia nudità: Per questo io, ora, ti rivesto del mantello d'oro della carità". D'allora in poi Caterina non soffrì mai più il freddo e anche nel più crudo inverno "poteva andare in giro vestita di leggero". Il calore della Grazia la riparava sempre.

  


 

 

 

 

 

 

 

 

    

Nessun commento:

Posta un commento