"Nell’amaritudine
gusterai la dolcezza, e nella guerra la pace"
Rileggere la vita di Santa Caterina da
Siena (1347-1380) non è solo tenere a mente l’esistenza di
una splendida domenicana, ma è
soprattutto far rivivere la testimonianza di una delle compatrone di Europa,
insieme a San Francesco di Assisi, San Benedetto da Norcia, i Santi Cirillo e
Metodio, Santa Edith Stein e Santa Brigida di Svezia. Questi, pur nella
diversità dei propri carismi, hanno saputo
portare il vangelo e la pace, nel loro mondo.
Santa Caterina da Siena, di cui oggi ricorre la festa, è la spiegazione
migliore della pagina del Vangelo di oggi: “Ti
benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste
queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o
Padre, perché così è piaciuto a te”. In un momento storico in cui
certamente le donne non avevano nessun particolare peso nella società, e in un
mondo dominato dalla violenza, dalla politica e da una certa cultura saccente,
il Signore suscita questa straordinaria donna come un segno grande per la sua
epoca e non solo. La sapienza di questa donna
non nasce dai libri ma dalla relazione con Cristo. Questo è un segreto
che molto spesso noi cristiani dimentichiamo: si cresce nella vita spirituale
non per acquisizioni di concetti e ragionamenti astratti, ma attraverso
l’esperienza. Stare con Gesù, costruire con
Lui un rapporto privilegiato, ci rende partecipi della luce di Dio. Non
a caso questa donna non dotta e ignorante, ci ha lasciato una strada dottrinale
che nei secoli la Chiesa non solo ha riconosciuto vera ma l’ha anche additata
come affidabile. Il titolo di dottore della Chiesa sta a significare
esattamente questo: un particolare contributo a rendere visibile una via
cristiana fino ad allora sconosciuta o poco praticata. Ma il frutto di questa
sapienza che nasce dalla relazione con Cristo in che cosa consiste? Negli
applausi del mondo? Certamente no, ma consiste in una cosa che cerchiamo tutte
le mattine senza riuscire mai a trovare: “Venite a
me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il
mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e
troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio
carico leggero”. Ogni giorno cerchiamo qualcosa che ci dia pace. Chi ha
trovato Cristo e la Sua sapienza ha trovato ciò che gli dà pace, ciò che lo fa
respirare, ciò che lo rende lieto anche in mezzo alla tempesta.
Caterina nasce a Siena in una famiglia numerosissima, modesta ma non
povera, da Lapa e da Giacomo Benincasa. Proprio in quell'anno (1347) erano
apparsi in Europa i primi orrendi segni della
peste che farà più di venti milioni di vittime. In Italia anche le
fiorenti città della Toscana come Siena erano state contagiate dai viaggiatori
provenienti da Venezia dove attraccavano le navi partite dai porti dell'Asia. Caterina fino all'adolescenza vive nel chiuso della
casa di famiglia dove il suo comportamento caparbio e silenzioso preoccupa i
genitori: mangia pochissimo, si dedica a dure pratiche ascetiche, si isola
dalla vita familiare. La madre Lapa
aveva dato alla luce due gemelle, Caterina e Giovanna, ma Giovanna morì quasi
subito, così a Caterina vennero spesso rinfacciati i suoi obblighi
nei confronti della famiglia, in quanto era stata una bambina speciale,
sopravvissuta alla gemella. Anche la sorella nata due anni dopo, e chiamata
Giovanna in memoria della gemellina, morì prematuramente, alimentando in
Caterina l’impressione di vivere la vita al posto di qualcun altro.
A quindici anni si unisce al gruppo delle Mantellate, donne laiche e
benestanti che sotto la guida dei domenicani, pur continuando a vivere in
famiglia, praticavano un regime di vita
religiosa e povera e prestavano quotidiana assistenza agli indigenti della
città. Caterina adotta le loro
regole con estremo fervore e senza nessuna prudenza: è giovanissima e bella e
la sua dedizione totale alle opere di misericordia desta sospetti e maldicenze
fra le compagne. Vive una duplice vita: nel chiuso delle mura domestiche
gioisce delle visioni divine talvolta violente e sempre inebrianti per la
presenza vivida di un Cristo uomo sofferente e amoroso; fuori nelle strade
della città cura instancabilmente i derelitti e i malati, con quell'amore «che è uno e medesimo».
Questa santa sembra aver avuto qualcosa in comune con le persone
anoressiche contemporanee. Della sua vita si conoscono molti dettagli grazie
alla biografia scritta (dieci anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1380), dal
suo confessore e guida spirituale, il frate predicatore Raimondo da
Capua. Fatte salve le differenze di contesto culturale (senza il quale
questa malattia non può essere compresa), è possibile affermare che Caterina utilizzò il digiuno e le privazioni come
strumento di affermazione di un’identità da lei altrimenti
percepita come evanescente.
L’analisi del suo rapporto con la madre e con il padre
Giacomo, ampiamente raccontato da
Raimondo da Capua, può essere utile per lo studio del contesto familiare e
sociale in cui si sviluppò la sua anoressia.
Quando Caterina veniva punita dalla madre non protestava in nessun modo, anzi,
accettava la punizione, anche fisica, attribuendosi
tutta la responsabilità dell’errore (per lo più l’essere venuta
meno a questi obblighi), e trasformando il
castigo in un’affermazione morale, quindi in soddisfazione di sé. La sua decisione di farsi monaca non fu ben accolta dalla
famiglia, ma anche in questo caso, seppure con una modalità
diversa, Caterina arrivò ad affermare sé stessa con qualunque mezzo, come ad
esempio imponendosi il voto del silenzio per ben tre anni. Non solo. Si
flagellava, dormiva pochissimo ogni notte sdraiata su un’asse di legno, iniziò
a mangiare solo pane, acqua e vegetali crudi dall’età di sedici anni. La madre non poteva che assistere alla sua
autodistruzione e ogni tentativo di rallentarla veniva aggirato da
Caterina (quando Lapa le impose di dormire insieme a lei, Caterina
nascose un pezzo di legno nel letto per potersi pungolare mentre la madre
dormiva).
Alla fine Caterina nemmeno divenne una suora, ma una
sorella della penitenza, una terziaria che non voleva saperne di stare chiusa
in un chiostro, ma che sentiva la necessità di muoversi per mostrare la sua
abnegazione a Cristo. Come accadde
anche alla mistica Giovanna D'Arco, per Caterina la privazione andò di pari
passo con l’autodeterminazione, con l’imposizione della sua volontà su quella
della madre prima e dei suoi padri spirituali poi. Il suo digiuno non era ben visto da tutti, molti
l’accusavano di essere una mistificatrice, alcuni addirittura dicevano che
Caterina segretamente mangiasse in abbondanza.
Dalle sue confessioni a da Capua emerge invece un quadro diverso: Caterina, come altre persone affette da anoressia, non
riusciva a mangiare, e anche laddove si costringeva a un seppur minimo regime
alimentare, era tormentata da dolori all’addome e vomito. Come
anche altre digiunatrici del suo tempo, Caterina sublimava il cibo nell’ostia
consacrata e attraverso questa sublimazione non sentiva più il bisogno di
mangiare. L’umiltà che Caterina manifestava
nei confronti di Cristo non aveva alcun riscontro nelle sue
relazioni umane dove si mostrava stranamente ammonitrice: nei confronti dei
fratelli, nei confronti di Lapa (il loro
rapporto madre-figlia appare assai articolato e sarebbe interessante poterlo
studiare attraverso gli strumenti forniti dalla psicologia e dalla psichiatria),
nei confronti di Papa Gregorio XI. Perfino nei confronti di Dio il suo
comportamento non appariva passivo.
Il suo rapporto con Dio, ovviamente non mediato ma diretto, era a tratti
singolare, Caterina sembrava contrattare con Dio anziché assoggettarsi alla sua
volontà. In due casi in particolare si ritrovò
a mettere in atto un meccanismo di punzione/ricompensa inconsapevole: la
prima volta in occasione della morte del padre Giacomo, di cui accettò tutte le
punizioni terrene a patto che avesse accesso diretto al Regno dei Cieli, e la
seconda volta durante un periodo di malattia di Lapa, affinché Dio la guarisse.
Con tutti Caterina cercava di affermare la sua
volontà, ma non poteva riuscirci sempre. Dopo la morte di Papa Gregorio
XI, Caterina non trovò un interlocutore altrettanto paziente nel suo
successore, Urbano VI. L’incapacità di quest’ultimo di mantenere il Papato a
Roma (cosa che Caterina desiderava più di ogni altra cosa) e di arrestare lo
scisma, si collegò ad un periodo di tremenda
depressione per Caterina. Arrivata al limite della sua anoressia, Caterina
si rifiutò anche di bere acqua, come estremo gesto di mortificazione affinché
Dio salvasse la Chiesa. Sopravvisse tre mesi, durante i quali
conobbe una lenta e prolungata agonia, con momenti di mancanza totale di
lucidità. Nonostante i molti ostacoli che la Chiesa le mise davanti quando era
in vita, Caterina venne canonizzata, nominata
dottore della Chiesa e Santa patrona di Italia.
IL MANTELLO DI SANTA CATERINA
Una volta, santa Caterina da Siena, da una
finestrella vide un mendicante steso all'angolo della via. Mentre
recitava le preghiere, l'immagine di quel poveretto esposto al freddo, non la
lasciò un istante. Infine, non potendo più resistere, corse in cucina a
prendere del pane per deporlo presso il dormiente. Lo trovò invece sveglio e parecchio infreddolito: "Non avresti
qualcosa per coprirmi?" - chiese. Per tutta risposta Caterina si tolse il
mantello nero della penitenza e glielo diede, rammaricandosi di non poter
dargli anche le vesti, per via della gente. Alla notte seguente
Gesù le comparve in visione dicendole, compiaciuto: "Figlia
mia, oggi hai coperto la mia nudità: Per questo io, ora, ti rivesto del
mantello d'oro della carità". D'allora in poi Caterina non
soffrì mai più il freddo e anche nel più crudo inverno "poteva andare in
giro vestita di leggero". Il calore della
Grazia la riparava sempre.
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