CRISTO CROCIFISSO PER AMORE
Il racconto della passione di Gesù, accanto a quello dell’entrata
festosa di Gesù in Gerusalemme (Mc 11,1-10), che celebreremo domenica 29
Marzo, occupa quasi un quinto dell’intero vangelo secondo Marco. Questa
narrazione mette alla prova il nostro sguardo di fede su Gesù: siamo quasi
costretti a patire lo scandalo e la follia della croce (cf. 1Cor
1,23), siamo posti di fronte all’esito fallimentare della vita di Gesù. Colui
che è passato in mezzo alla sua gente facendo il bene, curando i malati e
talvolta guarendoli, e costringendo il demonio ad arretrare. Colui che, quale “profeta
potente in opere e in parole” (Lc 24,19), ha attirato a sé le folle fino a
entrare nella città santa tra acclamazioni trionfali.
Colui che è riuscito a radunare intorno a sé una
comunità itinerante di uomini e donne; quest’uomo, Gesù di Nazaret, fa esperienza di una fine impensabile. la sua vita
approda a una morte fallimentare. Dov’è
finita – viene da chiedersi – la forza di Gesù, la potenza con cui egli
liberava dalla malattia e dalla morte quanti ne erano segnati? “Ha salvato altri e non può salvare se
stesso!” (Mc 15,31) – lo scherniscono i suoi avversari … Dov’è finito quel carisma profetico con
cui egli annunciava ormai vicinissimo, anzi presente, il Regno di Dio (cf. Mc
1,15)? Perché nella passione Gesù è ridotto
al silenzio e si lascia umiliare senza aprire la bocca? Dov’è quell’autorevolezza
riconosciutagli tante volte da chi lo
chiamava maestro, lo acclamava profeta, lo invocava come Messia e Salvatore?
Tutti coloro che sembravano suoi
seguaci e simpatizzanti sono scomparsi, e Gesù
è solo, abbandonato da tutti. Ma l’enigma è ancora più radicale: dov’è Dio durante la passione di Gesù? Quel Dio che sembrava essergli così
vicino e che egli chiamava confidenzialmente “Abba”, cioè “papà caro”;
quel Dio che lo aveva definito “Figlio
amato” al battesimo e alla trasfigurazione (Mc 9,7); quel Dio per il quale
Gesù aveva messo in gioco e consumato tutta la propria vita, dov’è ora? Non lo
si dimentichi: la morte di croce è
la morte del maledetto da Dio (cf. Dt 21,23; Gal 3,13), giudicato tale dalla
legittima autorità religiosa di Israele, e, nel contempo, è il supplizio estremo inflitto a chi è ritenuto nocivo alla polis. Davvero Gesù
è morto come un impostore, appeso
tra cielo e terra perché rifiutato da
Dio e dagli uomini …??? È assai difficile rispondere a queste domande. Si
può cominciare col notare che Gesù ha percorso questo cammino – giustamente definito via crucis, via della croce – pregando il Padre affinché lo sostenesse in quell’ora tenebrosa,
“supplicando Dio con forti grida e lacrime” (cf. Eb 5,7); in tutto questo,
però, ha sempre lottato per abbandonarsi
in Dio e cercare di compiere la sua
volontà, non la propria (cf. Mc 14,36).
Sì, Gesù ha avuto fede, ha creduto
che Dio non lo avrebbe abbandonato, che sarebbe rimasto con lui, dalla sua
parte, nonostante le apparenze di segno opposto e il reale fallimento umano
della sua vita e della sua missione. Ma per comprendere appieno la passione di Gesù, così da poterlo seguire in
essa senza scandalizzarsi, è fondamentale approfondire il senso del gesto eucaristico dell’ultima cena (cf. Mc 14,17-25). Gesù ha compiuto tale atto per evitare
che i discepoli leggessero la sua morte come
un evento subìto per caso, oppure dovuto a un destino ineluttabile voluto
da Dio. Nulla di tutto questo. Gesù
ha infatti vissuto la propria fine nella
libertà: avrebbe potuto fuggire prima che gli eventi precipitassero,
avrebbe potuto cessare di compiere azioni e pronunciare parole al termine delle
quali lo attendeva una condanna a morte. Ma non lo ha fatto; anzi, è rimasto fedele alla missione ricevuta da
Dio, ha continuato a realizzare in tutto e puntualmente la volontà del
Padre, anche a costo di andare incontro a una fine ignominiosa. E questo perché
sapeva bene che solo così poteva amare Dio e gli uomini fino alla fine (cf. Gv
13,1)… Ecco, Gesù ha concluso la sua
esistenza così come l’aveva sempre spesa: nella libertà e per amore di Dio e degli uomini!
Affinché ciò fosse chiaro, Gesù ha
anticipato profeticamente ai discepoli la sua passione e morte, spiegandola
loro con un gesto capace di narrare l’essenziale di tutta la sua vicenda: pane spezzato, come la sua vita lo
sarebbe stata di lì a poco; vino versato
nel calice, come il suo sangue sarebbe stato sparso in una morte violenta. Se,
all’inizio del vangelo, Marco aveva scritto che i discepoli “abbandonato tutto,
seguirono Gesù” (cf. Mc 1,18.20), nell’ora
della passione si vede costretto ad annotare che essi, “abbandonato Gesù, fuggirono tutti” (Mc 14,50). Lo scandalo
della croce permane in tutta la sua durezza e non va attutito, ma il segno eucaristico, memoriale
della vita, passione e morte di Gesù, sarà
capace di radunare di nuovo i discepoli intorno al Cristo Risorto. La
comunità dei discepoli di Gesù potrà così attraversare la storia e giungere
fino a noi, senza temere di affrontare
anche le ore buie e le crisi: il suo Signore l’ha infatti preceduta anche in
esse, vivendole nella libertà e per
amore. Grazie Gesù.
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