MARIA
ADDOLORATA
Nella tradizione della pietà mariana il venerdì
che precede il Venerdì Santo è dedicato alla memoria della Madre dolorosa. La
Madre ci guida ai misteri pasquali. La parte della Madre in questi misteri è la
com-passione: questo è anche il
nostro posto. Se la passione del Signore
è la sorgente della nostra salvezza, la compassione è il modo essenziale di
bere a questa fonte. D’altro canto la passione del Salvatore è la
compassione di Dio con noi; la
compassione diventa così la porta che ci apre il cuore di Dio. La memoria della Madre di Dio non è una forma di
sentimentalismo, aliena dallo spirito della grande liturgia della Settimana
Santa. Se l’insensibilità dell’uomo verso l’amore divino, l’incapacità di addolorarsi è il focolaio psicologico del peccato,
il mistero della Madre è il vero antidoto contro il male; il mistero della
Madre dolorosa fa parte dei misteri pasquali e della liturgia pasquale.
“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre Maria di
Cleofa e Maria di Magdala” (Gv 19, 25). Non si può stare presso la croce,
presso i misteri della nostra salvezza, senza stare anche presso Maria. Qui
Maria è divenuta Madre della Chiesa. La
Chiesa è nata quando Gesù vedeva “la madre e lì accanto a lei il discepolo che
egli amava” (Gv 19, 24). Oggi siamo tutti invitati i a stare accanto a Maria presso la croce,
perché il Signore ci veda, perché diventiamo anche noi discepolo amato da Gesù,
perché sia detta anche a noi questa parola: “Ecco tua madre!”. Non per caso
l’evangelista scrive: “Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai
compiuta …” (Gv 19, 28). Ogni cosa era compiuta dal momento nel quale il
discepolo prese Maria nella sua proprietà. Questo brano del Vangelo non solo ci
prepara al Venerdì Santo; esso ci spiega il cuore del nostro essere cristiani
ed è certo particolarmente caro alla Prelatura: è al centro della sua missione,
indicando il punto dove si compie l’opera di Dio.Vediamo ancor più da vicino
che cosa ci dice qui “il discepolo che
egli amava”. Questo testo è come un indicatore stradale: Maria ci guida verso la croce. La presenza eucaristica del Signore
scaturisce dalla croce. Non è possibile avvicinarsi a Gesù evitando la
croce. Mi impressiona questa parola scritta dall’evangelista: “Stavano presso
la croce …” le donne. I discepoli fuggono, corrono, mentre le donnestanno.
Stanno nonostante le beffe dei nemici; stanno nonostante le minacce dei
soldati; stanno nonostante il dolore, il buio, tutte le domande del loro cuore.
Stare è espressione di coraggio, di fermezza, di fedeltà all’amore anche
nell’ora in cui si spengono tutte le luci. Stare presso la croce: questa è la
prima indicazione dataci da Maria in questo testo. Nelle nozze di Cana Maria aveva ottenuto dal Figlio tramite la sua
intrepida fiducia, la sua pazienza e umiltà, la sua compassione e la sua
intercessione, che Gesù anticipasse la sua ora. L’ora non era venuta, ma nel dono sovrabbondante del vino Gesù
anticipava il dono della sua ora, il dono del sangue che è vino della vita,
il dono del sangue, nel quale egli dona se stesso, il suo amore infinito.
Nell’eucaristia il Signore, accettando le preghiere della Chiesa, ripete sempre
questo miracolo. L’ora del Regno non è ancora venuta, ma Egli ci dà
—anticipando l’ora— il suo sangue, se stesso, egli che è il Regno in persona. Ma
ritorniamo a noi. A Cana la Madonna
aveva ottenuto con la sua preghiera l’anticipazione dell’ora di Gesù.
Adesso, in quest’ora, sotto la croce, ottiene con la sua presenza silenziosa,
trafitta dalla spada (Lc 2, 35) della compassione ottiene il testamento di
Gesù, il compimento di ogni cosa, il nuovo Testamento. Vediamo la forza della
preghiera. Vediamo la forza del
silenzio, della compassione silenziosa. “Gesù, vedendo la madre … disse …”.
La parola di Gesù, il suo testamento, è risposta allo sguardo della madre. Che
cosa dice il Signore? Qual è il contenuto del suo testamento? Gesù identifica
il discepolo con se stesso. Il discepolo
diventa il figlio, diventa ciò che Gesù è. Questa identificazione
meravigliosa è il frutto dell’amore crocefisso. Ma questa identificazione si
realizza nell’affidamento del discepolo a Maria. La comunione con la madre è il
cammino dell’unione con Gesù.
Nell’affidamento del discepolo alla madre
dall’alto della croce nasce la Chiesa, e nasce sempre così. Questo
affidamento ha due aspetti. Da un lato il discepolo di Gesù diventa anche
discepolo della madre. Alla scuola della madre si impara ad essere figlio. Dalla madre
impara le parole custodite e meditate nel cuore materno (Lc 2, 19). Dalla
madre impara non solo le parole, ma anche il significato del silenzio di
Gesù, del silenzio di trent’anni, del silenzio della sua origine eterna nel
seno del Padre. Dalla madre, che è Chiesa fatta persona, impara
l’essere-Chiesa. La scuola della madre è indispensabile per diventare figlio,
per conoscere il Padre. Dall’altro lato Maria è affidata al discepolo: “La
prese con sé”, dice l’evangelista. Sant’Agostino nota a questo punto che il
discepolo, avendo lasciato tutto (Mt 19, 27), non poteva prendere la madre
in una sua proprietà materiale, in una “casa sua” — come traduce la Bibbia di
Gerusalemme. Il “suo” è adesso egli stesso. La prende realmente “con sé”, nel suo essere, nel suo pensare e vivere,
la introduce in tutto lo spazio della
propria vita interiore. Sotto la croce Maria diventa di nuovo madre, nel
dolore della compassione comincia la nuova maternità. La maternità di Maria
dura così sino alla fine del mondo: Maria non è un modello astratto della madre
Chiesa, come la Chiesa stessa non è un astratto. La Chiesa è persona in Maria e vuole diventare persona in noi,
affidati dal Signore all’amore materno di Maria.Nella croce sono adempiute le
parole pronunciate da Dio dall’inizio della storia umana, sono adempiute le parole della benedizione e viene superata la
maledizione. Gesù, nato dalla stirpe della donna, schiaccia la testa del Serpente, il Serpente insidia il suo calcagno
(Gn 3, 15). La vittoria apparente del Serpente, la morte del Redentore è
la sua vera e definitiva sconfitta: la testa del Serpente, l’arroganza del
farsi Dio è schiacciata nell’umiltà e nell’amore del Figlio. La maledizione
scompare, viene sostituita dalla nuova parola “Benedetta tu fra le donne, e
benedetto il frutto del tuo grembo!” (Lc 1, 42). Il luogo definitivo della benedizione è la croce. La liturgia di
oggi è l’invito fatto a noi tutti dalla Chiesa a stare presso la croce insieme
con Maria. Così ascolteremo anche la sua parola: “Donna, ecco tuo figlio”. Prendiamola con noi: così saremo figli
della benedizione e il Serpente non ci recherà danno (cfr. Mc 16,
18). Amen
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