giovedì 4 giugno 2020

San Giuseppe Moscati, muore il 12 Aprile 1927

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GLI AMMALATI POVERI E
L’UMANITÀ DELLA MEDICINA


San Giuseppe Moscati nacque il 25 luglio 1880 a Benevento

Settimo di nove figli del magistrato Francesco Moscati e di Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto. Nel 1881 la famiglia Moscati si trasferí ad Ancona e poi a Napoli, ove Giuseppe fece la sua prima comunione nella festa dell’Immacolata del 1888. Dal 1889 al 1894 Giuseppe compì i suoi studi ginnasiali e poi quelli liceali al ” Vittorio Emanuele “, conseguendovi con voti brillanti la licenza liceale nel 1897, all’etá di appena 17 anni. Pochi mesi dopo, cominciò gli studi universitari presso la facoltà di medicina dell’Ateneo partenopeo.
E’ possibile che la decisione di scegliere la professione medica sia stata in parte influenzata dal fatto che negli anni dell’adolescenza Giuseppe si era confrontato, in modo diretto e personale, con il dramma della sofferenza umana. Nel 1893, infatti, suo fratello Alberto, tenente di artiglieria, fu portato a casa dopo aver subito un trauma inguaribile in seguito ad una caduta da cavallo. Per anni Giuseppe prodigò le sue cure premurose al fratello tanto amato, e allora dovette sperimentare la relativa impotenza dei rimedi umani e l’efficacia dei conforti religiosi, che soli possono darci la vera pace e serenità. È comunque un fatto che, fin dalla più giovane età, Giuseppe Moscati dimostra una sensibilità acuta per le sofferenze fisiche altrui; ma il suo sguardo non si ferma ad esse: penetra fino agli ultimi recessi del cuore umano. Vuole guarire o lenire le piaghe del corpo, ma è, al tempo stesso, profondamente convinto che anima e corpo sono tutt’uno e desidera ardentemente di preparare i suoi fratelli sofferenti all’opera salvifica del Medico Divino.

Dal 1904 il Moscati presta servizio di coadiutore all’ospedale degl’Incurabili, a Napoli, e fra l’altro organizza l’ospedalizzazione dei colpiti di rabbia e, mediante un intervento personale molto coraggioso, salva i ricoverati nell’ospedale di Torre del Greco, durante l’eruzione del Vesuvio nel 1906.
Negli anni successivi Giuseppe Moscati consegue l’idoneità, in un concorso per esami, al servizio di laboratorio presso l’ospedale di malattie infettive "Domenico Cotugno" . Nel 1911 prende parte al concorso pubblico per sei posti di aiuto ordinario negli Ospedali Riuniti e lo vince in modo clamoroso. Si succedono le nomine a coadiutore ordinario, negli ospedali e poi, in seguito al concorso per medico ordinario, la nomina a direttore di sala, cioè a primario. Durante la prima guerra mondiale è direttore dei reparti militari negli Ospedali Riuniti. A questo ” curriculum ” ospedaliero si affiancano le diverse tappe di quello universitario e scientifico: dagli anni universitari fino al 1908, il Moscati è assistente volontario nel laboratorio di fisiologia; dal 1908 in poi è assistente ordinario nell’Istituto di Chimica fisiologica. 

Nel 1911 ottiene, per titoli, la Libera Docenza in Chimica fisiologica; ha l’incarico di guidare le ricerche scientifiche e sperimentali nell’Istituto di Chimica biologica. Dal 1911 insegna, senza interruzioni, ” Indagini di laboratorio applicate alla clinica ” e ” Chimica applicata alla medicina “, con esercitazioni e dimostrazioni pratiche. A titolo privato, durante alcuni anni scolastici, insegna a numerosi laureati e studenti semeiologia e casuistica ospedaliera, clinica e anatomo-patologica. Per vari anni accademici espleta la supplenza nei corsi ufficiali di Chimica fisiologica e Fisiologia. Nel 1922, consegue la Libera Docenza in Clinica Medica generale, con dispensa dalla lezione o dalla prova pratica ad unanimità di voti della commissione.


Celebre e ricercatissimo nell’ambiente partenopeo quando è ancora giovanissimo, il professor Moscati conquista ben presto una fama di portata nazionale ed internazionale per le sue ricerche originali, i risultati delle quali vengono da lui pubblicati in varie riviste scientifiche italiane ed estere. Queste ricerche di pioniere, che si concentrano specialmente sul glicogeno ed argomenti collegati, assicurano al Moscati un posto d’onore fra i medici ricercatori della prima metà del nostro secolo. Più di ogni altra cosa è la sua stessa personalità che lascia un’impressione profonda in coloro che lo incontrano, la sua vita limpida e coerente, tutta impregnata di fede e di carità verso Dio e verso gli uomini. Il Moscati è uno scienziato di prim’ordine; ma per lui non esistono contrasti tra la fede e la scienza: come ricercatore è al servizio della verità e la verità non è mai in contraddizione con se stessa né, tanto meno, con ciò che la Verità eterna ci ha rivelato. L’accettazione della Parola di Dio non è, d’altronde, per il Moscati un semplice atto intellettuale, astratto e teorico: per lui la fede è, invece, la sorgente di tutta la sua vita, l’accettazione incondizionata, calda ed entusiasta della realtà del Dio personale e dei nostri rapporti con lui.

Il Moscati vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi. È questo slancio di amore generoso che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri guadagni. E tutti, ma in modo speciale coloro che vivono nella miseria, intuiscono ammirati la forza divina che anima il loro benefattore.
Così il Moscati diventa l’apostolo di Gesù: senza mai predicare, annuncia, con la sua carità e con il modo in cui vive la sua professione di medico, il Divino Pastore e conduce a lui gli uomini oppressi e assetati di verità e di bontà. Mentre gli anni progrediscono, il fuoco dell’amore sembra divorare Giuseppe Moscati. L’attività esterna cresce costantemente, ma si prolungano pure le sue ore di preghiera e si interiorizzano progressivamente i suoi incontri con Gesù sacramentato.

E' stato canonizzato da Papa 
Giovanni Paolo II il 25 Ottobre del 1987

Non ha mai utilizzato le sue qualità e capacità come un privilegio, un titolo di merito di cui fregiarsi, ma come un titolo di servizio da donare per il bene degli altri. Molto prosaicamente era convinto che alla fine “onori, trionfi, ricchezza e scienza cadono” e la “vita è un attimo”. “Il movente della sua attività come medico – ha affermato Giovanni Paolo II nella cerimonia di canonizzazione – non fu dunque il solo dovere professionale, ma la consapevolezza di essere stato posto da Dio nel mondo per operare secondo i suoi piani, per apportare quindi, con amore, il sollievo che la scienza medica offre nel lenire il dolore e ridare la salute”.
Giuseppe Moscati considerava l’Eucaristia come il centro della sua vita ed esprimeva fraterna condivisione verso quanti conoscevano l’esperienza del dolore, animato dallo Spirito di Gesù che, con la potenza dell’amore, ha ridato senso e dignità al mistero della sofferenza. Dinanzi alla precarietà dell’esistenza umana considerava – scrivendo una lettera a un notaio privato tragicamente dell’affetto della giovane figlia – che di eterno c’è solo l’amore, “causa di ogni opera buona, che sopravvive a noi, che è speranza e religione, perché l’amore è Dio. Satana cercò d’inquinare anche l'amore terreno, ma Dio lo purificò attraverso la morte. Grandiosa morte che non è fine, ma è principio del sublime e del divino”. 

Ma il “medico dei poveri” non si arrendeva mai fatalisticamente alle avversità come ineluttabili, anche quando le speranze erano ridotte al lumicino. Nel 1911, durante l’epidemia di colera che affligge Napoli, non solo è accanto ai malati senza paura del contagio, ma in prima linea con le sue attività di ricerca che contribuiranno molto a contenere la malattia.
I suoi successi, però, non gli fanno perdere il senso della realtà e comprendere quali siano le cose davvero importanti. A un suo assistente, infatti, scrisse: “Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini son passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene”. 

La sua vocazione era un insieme di studio, sensibilità ed esperienza; una missione umana e spirituale che andava oltre le competenze scientifiche. “Si tratta – come indicato da Papa Benedetto XVI – della ‘scienza cristiana della sofferenza’, indicata esplicitamente dal Concilio come ‘la sola verità capace di rispondere al mistero della sofferenza’ e di arrecare a chi è nella malattia ‘un sollievo senza illusioni’”.
Come accennato all’inizio, San Giuseppe Moscati era fermamente convinto di non doversi occupare solo del corpo ma dell’anima dei pazienti. Raccomandava sempre agli ammalati, nel congedarli, le medicine essenziali dei Sacramenti, la Confessione e la Comunione. Si narra che un giorno curava un operaio a cui era stata diagnosticata la tisi ma invece si trattava solo un ascesso al polmone. L’uomo si stava apprestando a versare l’onorario al professore ma lui non ha accettato dicendo: “Se veramente mi vuoi pagare, vatti a confessare, perché è Dio che ti ha salvato”. Nel suo studio privato accoglieva tutti – anche personaggi importanti come il celebre tenore Caruso – e non faceva pagare i poveri, anzi talvolta era lui stesso a offrire loro del denaro. Nella sala d’attesa c’era una scritta per chiarire le modalità di pagamento della parcella: “Chi può metta qualcosa, chi ha bisogno prenda”. Aveva ben presente la figura del “buon samaritano”: le persone più disperate e disprezzate erano per lui l’immagine di Gesù, anime immortali, divine, da amare seguendo il comandamento evangelico di amarle come sé stessi.
Per i napoletani il Moscati è ancora oggi ricordato come il medico dei poveri: il suo studio, nel cuore della vecchia Napoli in via Cisterna dell’Olio, era sempre pieno di pazienti.
L’ultima delle sue preoccupazioni era l’onorario: ai poveri chiedeva di lasciare quanto potevano in un cestino all’ingresso dell’ambulatorio oppure di prendere quello di cui avevano bisogno.


La gente che lo incontrava lo ricorda più per la sua umanità che per la sua intelligenza, non per cosa faceva ma per il modo in cui lo faceva e l’attenzione che riservava verso coloro che soffrivano.
A 39 anni raggiunge l’apice della carriera con la nomina a Primario della terza sala dell’ospedale degli Incurabili. Per affinare la sua preparazione consegue una seconda Libera Docenza in Clinica e Semeiotica Medica.
Contemporaneamente compie e dirige importanti ricerche di laboratorio sui processi di trasformazione degli amidi e del glicogeno nell’organismo umano. 
Nel frattempo, oltre ai genitori, muoiono anche altri quattro parenti stretti tra sorelle e fratelli. Giuseppe riesce a sopportare e ad attraversare queste separazioni grazie alla sua fede.
Moscati pensa spesso alla morte, in particolare alla sua morte e ne parla come di una realtà vicina. A chi gli chiede se la teme, risponde: “Io finora non ho questa paura, e mi auguro, con l’aiuto di Dio, di non averla mai”. Tre giorni prima di morire al dott. Formicola, suo collega, che gli domanda quale sia la morte migliore, ribatte: “Per chi è preparato, la morte improvvisa è la più bella”.
In una pagina del suo diario ci ha lasciato scritto: “Grandiosa morte che non è fine ma è principio del sublime e del divino”. Considera la morte non come la fine ma come il confine per una vita che non finisce. Di questo ne è consapevole.
Il 12 aprile 1927 sembra un giorno come tanti . . .
Giuseppe Moscati esce di casa alla mattina presto, serve la Messa delle 5,30 nella chiesa di santa Chiara, ritorna a casa per fare colazione, passa la mattinata all’ospedale, pranza a casa alle 13,30, mezz’ora dopo inizia le sue visite d’ambulatorio ma verso le 15,00 si ritira in camera, chiama Concetta, la persona di servizio, e le dice: “Sospendo le visite; mi sento male, dammi un po’ di laudano“. Si adagia in poltrona, china il capo, incrocia le braccia sul petto e, senza dire una parola, emette l’ultimo respiro. Mancano pochi mesi al compimento dei 47 anni. In poche ore la notizia si diffonde in tutta Napoli, la gente lo piange con queste semplici parole: 

“È morto il medico Santo” 

In sintesi i Suoi meravigliosi traguardi.
– 25 luglio 1880 Giuseppe Moscati nasce a Benevento da Francesco e da Rosa de Luca.
– 31 luglio 1880 É battezzato con i nomi di Giuseppe, Maria, Carlo, Alfonso.
Nel 1897 Consegue brillantemente la maturità e si iscrive alla Facoltà di Medicina.
– 4 agosto 1903 Si laurea in medicina, col massimo dei voti. Vince il concorso per aiuto straordinario agli Ospedali Riuniti, quello di assistente nell’Istituto di chimica fisiologica e quello per un posto di studio nell’Aquarium di Napoli.
– 2 giugno 1904 Muore a Benevento il fratello Alberto dopo un calvario di 12 anni.
– 1908 Diventa assistente ordinario nell’Istituto di chimica fisiologica.
– 1911 Vince il concorso per il prestigioso posto di coadiutore ordinario negli Ospedali Riuniti e diventa socio aggregato alla Regia Accademia Medico-Chirurgica, su proposta di Antonio Cardarelli.
– 15 luglio 1911 Diventa medico condotto del Comune di Napoli.
– 1911-1923 Insegna all’Ospedale degli Incurabili.
– 1915-1918 Durante la grande guerra è direttore del reparto militare.
Dal 1919 Diventa Primario della III sala dell’ospedale degli Incurabili.
– 12 aprile 1927 Muore nella sua casa di via Cisterna dell’Olio n. 10. Era martedì santo.
– 16 novembre 1930 Dal cimitero di Poggioreale il corpo di Moscati viene traslato nella Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli.
16 novembre 1975 È beatificato in Piazza S. Pietro da Paolo VI.
– 25 ottobre 1987 È canonizzato, sempre a Roma, da Giovanni Paolo II.

GRAZIE!!!
16 Novembre 2022

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