venerdì 11 giugno 2021

Dolindo Ruotolo, mistico servo di Dio

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DON DOLINDO RUOTOLO
"Gesù pensaci tu"
"Fui chiamato Dolindo che significa dolore"

                   Dolindo Ruotolo, sacerdote e terziario francescano, è stato, insieme a Padre Pio da Pietrelcina, ruota imponente del carro della Chiesa del XX secolo. Un Innamorato dello Spirito Santo, una Sapienza infusa dall'alto, un Taumaturgo di non minor potenza del confratello cappuccino, uno Stigmatizzato di Cristo già nel nome, un Figlio prediletto della Vergine iniziato alla sapienza delle Scritture, un Servo fedele che volle essere il nulla del nulla in Dio e il tutto di Dio negli uomini. 
Di lui disse san Pio da Pietrelcina, ai fedeli napoletani in pellegrinaggio da lui: "Perché venite qui, se avete don Dolindo a Napoli? Andate da lui, egli è un santo".  Infinite sono le testimonianze di guarigioni miracolose avvenute per Sua intercessione, di tubercolosi guarite, di arti risanati, di suicidi deliberati e per suo intervento non giunti a compimento, di aiuti segreti dati a tutti quelli che in segreto chiedevano. Si tratta di quei bisogni che affliggono i piccoli nelle piccole faccende quotidiane: la malattia di un figlio, un esame da superare, un lavoro da trovare, il miracolo del pane quotidiano.
Il sacerdote, diceva, è un'ostia vivente offerta in Cristo a Dio Padre per la salvezza dei peccatori. Egli è il polmone dell'umanità, metabolizza la miseria del peccato nell'aria purissima della grazia e della vita eterna. Il sacerdote è un operatore di grazie, un restauratore del vasellame di Dio, la sua opera è il frutto della sua preghiera e attraverso il sacrificio e la preghiera i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i morti risorgono. Don Dolindo venne calunniato, perseguitato, ma rimase sempre fedele alla Chiesa, che chiamava santa e indefettibile. E diceva che "i miei libri riabiliteranno la mia memoria". Aveva il dono di scrutare i cuori, di leggere i peccati che erano sotterrati nell'inconscio delle persone.
Fu tormentato dal diavolo per il suo ultimo libro, che volle essere un omaggio alla Madonna.
Della vita di don Dolindo stupisce la capacità di accettare la croce, in ogni situazione.
Gesù aveva detto a padre Dolindo di prendere su di sé le sofferenze di tutti. Lui ebbe il dono mistico dello scambio di dolori. Chiamava i conventi, per esempio le suore di clausura, e diceva: “Datemi le vostre sofferenze”. Tutti i giorni chiedeva a Dio il dono del dolore insieme all’amore, la fede, la mansuetudine, l’umiltà.
L'opera di un santo sacerdote è ignota a lui stesso, è Dio che opera in lui, egli non sa né vuole usurpare per sé il merito che è solo di Dio. Così Dolindo, che già portava nel nome la trafittura delle spine che gli passeranno le carni durante tutta la sua vita, riteneva di essere per sé un nulla, uno "sciosciammocca"( si definiva), un incantato di Dio, un innamorato della Vergine. Inoltre aveva verso i Santi una attenzione massima: per Lui la comunione dei Santi era una realtà concreta.

La Sua sapienza non brilla per vanagloria di umana scienza ma per il decoro di una Divina Rivelazione dei fondamenti della fede cattolica. Egli prendeva su di sé, come il cireneo, il peso della croce degli uomini per condividerlo con Gesù e, a mano a mano che saliva con Cristo fino al Golgota, le spalle si incurvavano, le vertebre si flettevano sotto il peso della croce, le gambe turgide per il faticoso cammino sanguinavano ribelli ad ogni fasciatura, sembrava vecchiaia la sua ma era stigma del Cristo sofferente
Fui chiamato Dolindo, che significa dolore…” sono Sue parole per spiegare il significato di questo strano nome, elaborato ed impostagli dal padre al battesimo. Fu tutto un programma di vita, che inconsapevolmente il genitore predestinò al quinto dei suoi 11 figli.
Dolindo nacque a Napoli il 6 ottobre 1882 da Raffaele Ruotolo, ingegnere e matematico e da Silvia Valle discendente della nobiltà napoletana e spagnola; il dolore effettivamente si presentò nella sua vita prestissimo, a 11 mesi subì una operazione chirurgica sul dorso delle mani, per un osso cariato, poi un altro intervento per un tumore sotto la guancia che interessò anche le ghiandole.
La numerosa famiglia, le scarse entrate, la quasi avarizia del padre, facevano si che nella sua casa si soffrisse la fame, con mancanza di vestiario e scarpe. La sua vita l’ha raccontata in una poderosa ‘Autobiografia’ oggi stampata in due volumi, con il titolo “Fui chiamato Dolindo, che significa dolore”; egli racconta che in casa vigeva la eccessiva rigidità del padre, che fra l’altro non li mandava a scuola, dando loro personalmente sommarie lezioni di leggere e scrivere.
Nel 1896, i coniugi Ruotolo troppo diversi nel carattere, si separarono e Dolindo con il fratello Elio, venne messo nella Scuola Apostolica dei Preti della Missione in via Vergini. Dopo tre anni, a fine 1899, venne ammesso al noviziato e nel maggio 1901 passò allo Studentato dei Preti della Missione che durò quattro anni fino al 1905.
Nel 1903 fece domanda di andare in Cina come missionario; il Visitatore dell’Ordine gli rispose: “Dio le dà questo desiderio per prepararla alle sofferenze e all’Apostolato. Sarà martire, ma di cuore, non di sangue. Rimanga qui e non ne parli più".
Il 1° giugno 1901, fece i voti religiosi e il 24 giugno 1905 venne ordinato sacerdote, celebrò la Prima Messa il giorno seguente, assistito dal fratello Elio già sacerdote; fu nominato maestro di canto gregoriano e professore dei chierici della Scuola Apostolica.
La vita da sacerdote ‘Vincenziano’, fu intessuta da tanti episodi dolorosi, che mortificarono padre Dolindo, dandogli però quella forza di sopportare tutto senza ribellarsi, prendendo tutto ciò come manifestazione della particolare attenzione di Dio nei suoi confronti e che lo forgiava a ciò che era destinato in seguito. Ma dal 3 settembre 1907, le forze dell’incomprensione e del dolore si scagliarono contro padre Dolindo Ruotolo; fu chiamato da p. Volpe che era stato trasferito a Catania, a dare un giudizio su una giovane donna di nome Serafina, sembrava che avesse doti di veggente e che aveva avuto già un parere positivo dallo stesso padre Volpe.
Giunta la donna a Giovinazzo vicino Molfetta, padre Dolindo ebbe modo di confessarla e controllarla personalmente per otto giorni, sentendola parlare anche in estasi; il parere fu positivo da parte sua, anche se la supposta veggente asseriva di assistere alla ‘manifestazione dello Spirito Santo in forma di bambino’. La sua relazione fu travisata dal Visitatore (Superiore Generale) di Napoli, per cui ciò che era l’affermazione di una ‘visione’ fu distorta e divenne una ‘incarnazione dello Spirito Santo’, per padre Ruotolo fu la fine, ogni chiarimento e delucidazione sulla relazione fu inutile, il Visitatore rimase convinto che lui sostenesse questa eresia.
Il 29 ottobre 1907 fu richiamato a Napoli, intimato di non interessarsi più di questi fatti straordinari, della supposta veggente di Catania e lo sospese dalla celebrazione della Messa. 

Sospeso dai sacramenti, fu sottoposto anche a perizia psichiatrica, dove risultò sano di mente. Ridatigli i sacramenti, fu inviato di nuovo a Napoli con l’espulsione dalla Comunità e il 15 maggio 1908 con la morte nel cuore, ritornò nella sua casa. Seguono anni di tormenti di ogni genere, dovette accettare di essere esorcizzato, considerato come un pazzo, i fatti furono riportati negativamente sulla stampa e travisati, per cui sia lui che p. Volpe si trovarono completamente emarginati.
Nella sua solitudine cominciò ad avere delle comunicazioni soprannaturali, per cui scriveva quanto gli veniva rivelato, specie da santa Gemma Galgani; il 22 dicembre 1909 Gesù gli parlò solennemente dall’Eucarestia. L’8 agosto del 1910 viene riabilitato dopo due anni e mezzo di sospensione. Ma una seconda volta nel dicembre 1911, padre Dolindo viene convocato a Roma, alloggiando in una specie di carcere sacerdotale del Sant’Uffizio e rimandato a Napoli nel 1912.  Egli subirà anche un processo nel 1921, verrà condannato, esiliato di nuovo, il suo dolore è immenso, vengono messe in giudizio anche le locuzioni con Gesù che egli riceveva, la critica alle sue opere letterarie e teologiche erano aspre. Venne definitivamente riabilitato il 17 luglio 1937; pur ricevendo ancora dolori ed incomprensioni, la sua vita di sacerdote ormai diocesano, prosegue a Napoli nella chiesa di S. Giuseppe dei Nudi, di cui il fratello don Elio sarà parroco. Egli è l’ideatore dell’'Opera di Dio', il cui senso è una rinnovata vita eucaristica, cioè il contatto personale e consapevole dell’uomo con Gesù vivo e vero, la disponibilità a lasciarsi trasformare in Lui, come rimedio ai tanti mali che affliggono l’individuo e che si riflettono su scala più ampia sul mondo intero.

Certo che di scritti di padre Ruotolo ce ne sono parecchi, vanno dal monumentale “Commento alla Sacra Scrittura” in 33 grossi volumi, alle tante opere di teologia, ascetica e mistica; interi volumi di epistolario, scritti autobiografici e di dottrina cristiana. Nel 1960 inizia un altro calvario per padre Dolindo, un ictus lo immobilizza il lato sinistro, ma non lo ferma, dal suo tavolino continua a scrivere alle sue ‘Figlie spirituali’ sparse un po’ dovunque, finché dopo dieci anni di queste sofferenze fisiche, si spense il 19 novembre 1970. Vera luce della spiritualità napoletana e della Chiesa cattolica; riposa nella chiesa di S. Giuseppe dei Nudi, dove è anche la tomba di suo fratello Elio. È diffuso il gesto di fede presso i napoletani di bussare per tre volte in nome della SS. Trinità sul marmo del suo sepolcro, pregando per ricevere grazie spirituali e materiali attraverso la sua intercessione, poiché egli disse: «venite a bussare alla mia tomba... io vi risponderò».


             La Madonna

Non c'è santità senza devozione mariana
. Il popolo aveva bene appellato don Dolindo come il "vecchietto di Maria", quasi ad indicarne una appartenenza. Effettivamente don Dolindo fu tutto di Maria; egli ha celebrato le lodi più belle della Vergine, ha cantato per Lei e insieme a Lei le melodie più soavi. Una gran parte dei suoi scritti e dei suoi opuscoli sono dedicati alla Vergine Immacolata, alla Madre del Redentore, alla Corredentrice del genere umano. Maria è per Lui il sospiro dell'universo e la magnificenza delle anime, il cantico della Trinità. Incomparabile resta il suo commento al Magnificat ispirato e dettato dalla Vergine che veniva a istruire il piccolo cenacolo di don Dolindo. 

“Gesù mi abbandono in Te, pensaci Tu! Non voglio agitarmi, mio Dio, confido in Te”

E’ questa una delle giaculatorie più belle e potenti di Don Dolindo! Senza nulla togliere alla Divina Misericordia portata avanti da Santa Suor Faustina Kowalska, Don Dolindo Ruotolo dedica capitoli intensi alla Misericordia di Gesù e a quel “CONFIDO IN TE!“, fiore prelibato durante tutto il suo calvario terreno. Sulla sua tomba sono riportate le sue parole quale testamento spirituale: “Quando sarà morto, vieni alla mia tomba, bussa, io ti risponderò: Confida in Dio!“

Il Santo Rosario 

Il Rosario è la più antica preghiera della Chiesa perché la contemplazione dei misteri è sicuramente il frutto della prima catechesi fatta agli apostoli da Maria, che pregava con loro e a Lei si rivolgevano ripetendo la preghiera al Padre insegnata loro da Gesù. Perciò il Rosario è la preghiera ecclesiale per eccellenza; attraverso il Rosario prega tutta la Chiesa. Don Dolindo conosceva la potenza del Rosario e le insidie che il Nemico opponeva a chi si accinge a recitarlo. Fulcro di tale devozione mariana era la preghiera del Santo Rosario, che Egli recitava meditando le stazioni della vita, morte e resurrezione di Gesù sulla sua corona, costantemente impugnata e che usava come una verga mosaica per battere alle porte del cielo e impetrare grazie o come una spada contro le tentazioni e gli assalti del demonio.
Don Dolindo lo chiamava una "rete elettrica", nel senso che ogni grano della corona è un pulsante che ha corrispondenze nel cuore della Vergine e di Gesù e vi accende la lampada della infinita carità. Perciò la recita del Rosario è una preghiera comunitaria da fare con animo devoto e, se preghiamo da soli, don Dolindo consigliava di invitare l'angelo custode, che è sempre con noi per il responsorio della nostra invocazione affinché la nostra umile preghiera fosse portata sulle sue mani davanti al trono del cielo.


ATTO DI ABBANDONO A GESU'
di Don Dolindo Ruotolo

Gesù alle anime:
"Perché vi confondete agitandovi? 
Lasciate a me la cura delle vostre cose e tutto si calmerà. 
Vi dico in verità che ogni atto di vero, cieco, 
completo abbandono in me, 
produce l'effetto che desiderate e risolve le situazioni spinose.

Abbandonarsi a me non significa arrovellarsi, 
sconvolgersi e disperarsi, volgendo poi
 a me una preghiera agitata perché io segua voi,
 e cambiare così l'agitazione in preghiera. Abbandonarsi significa
 chiudere placidamente gli occhi dell'anima, 
stornare il pensiero dalla tribolazione, e rimettersi 
a me perché io solo vi faccia trovare, 
come bimbi addormentati nelle braccia materne, nell'altra riva.

Quello che vi sconvolge e vi fa un male immenso
 Ã¨ il vostro ragionamento, il vostro pensiero,
 il vostro assillo ed il volere 
ad ogni costo provvedere voi a ciò che vi affligge.
Quante cose io opero quando l'anima
 tanto nelle sue necessità spirituali quanto in quelle materiali, 
si volge a me, mi guarda, e dicendomi: "pensaci tu", chiude gli occhi e riposa!

Avete poche grazie quando vi assillate per produrle, 
ne avete moltissime quando la preghiera è affidamento pieno a me. 
Voi nel dolore pregate perché io operi, 
ma perché io operi come voi credete... 
Non vi rivolgete a me, ma volete voi che

io mi adatti alle vostre idee; non siete infermi 
che domandano al medico la cura, ma, che gliela suggeriscono.
 Non fate così, ma pregate come vi ho insegnato nel Pater: "Sia santificato il tuo nome",
 cioè sii glorificato in questa mia necessità; 
"venga il tuo regno", cioè tutto concorra 
al tuo regno in noi e nel mondo; "sia fatta la tua volontà",
 ossia PENSACI TU.

Se mi dite davvero: "sia fatta la tua volontà",
 che è lo stesso che dire: "pensaci tu",
io intervengo con tutta la mia onnipotenza, 
e risolvo le situazioni più chiuse.
 Ecco, tu vedi che il malanno incalza invece di decadere? 
Non ti agitare, chiudi gli occhi

 e dimmi con fiducia: "Sia fatta la tua volontà, pensaci tu". 
Ti dico che io ci penso, che intervengo come medico,
e compio anche un miracolo quando occorre. 
Tu vedi che l'infermo peggiora? Non ti sconvolgere, 
ma chiudi gli occhi e di': "Pensaci tu". Ti dico che io ci penso.

E' contro l'abbandono la preoccupazione, 
l'agitazione e il voler pensare alle conseguenze di un fatto. 
E' come la confusione che portano i fanciulli, 
che pretendono che la mamma pensi alle loro necessità,
 e vogliono pensarci essi,
intralciando con le loro idee e le loro fisime infantili il suo lavoro.

Ci penso solo quando chiudete gli occhi.
 Voi siete insonni, voi volete tutto valutare,
 tutto scrutare, confidando solo negli uomini. 
Voi siete insonni, voi volete tutto valutare, tutto scrutare, 
a tutto pensare, e vi abbandonate
 così alle forze umane, o peggio agli uomini, confidando nel loro intervento.
 E' questo che intralcia le mie parole e le mie vedute. 
Oh, come io desidero da voi questo 

abbandono per beneficarvi, e come mi accoro
 nel vedervi agitati! Satana tende proprio a questo: ad agitarvi
 per sottrarvi alla mia azione e gettarvi in preda delle iniziative umane. 
Confidate perciò in me solo, riposate in me, abbandonatevi a me in tutto. 
Io faccio miracoli in proporzione del pieno abbandono in me, 
e del nessuno pensiero di voi;

 io spargo tesori di grazie quando voi siete nella piena povertà!
 Se avete vostre risorse, anche in poco, 
o, se le cercate, siete nel campo naturale,
 e seguite quindi il percorso naturale delle cose,
 che è spesso intralciato da satana. 
Nessun ragionatore o ponderatore ha fatto miracoli, neppure fra i Santi.
Opera divinamente chi si abbandona a Dio.
Quando vedi che le cose si complicano, di' con gli occhi dell'anima chiusi:
"Gesù, pensaci tu".

E distràiti, perché la tua mente è acuta... e per te è difficile vedere il male. 
Confida in me spesso, distraendoti da te stesso.
 Fa' così per tutte le tue necessità. 
Fate così tutti, e vedrete grandi, continui e silenziosi miracoli. 
Ve lo giuro per il mio amore. Io ci penserò ve lo assicuro. 
Pregate sempre con questa disposizione di abbandono,
 e ne avrete grande pace e grande frutto, 
anche quando io vi faccio la grazia dell'immolazione 
di riparazione e di amore che 
impone la sofferenza. Ti sembra impossibile? 
Chiudi gli occhi e di'
 con tutta l'anima: "Gesù pensaci tu". Non temere ci penso io. 
E tu benedirai il mio nome umiliandoti. 
Mille preghiere non valgono un atto solo 
di fiducioso abbandono: ricordatelo bene. 
Non c'è novena più efficace di questa:
O Gesù m'abbandono in Te, pensaci tu!"




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