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"Ascolta, figlio mio,
gli insegnamenti
del maestro e apri docilmente il tuo cuore;
accogli volentieri i consigli ispirati dal Suo
amore paterno e mettili in pratica
con impegno, in modo che tu possa tornare
attraverso la solerzia
dell'obbedienza a
Colui dal quale ti sei allontanato
per l'ignavia della disobbedienza."
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San Benedetto nacque con la sorella Scolastica da un’agiata famiglia romana. Il padre Eutropio, figlio di Giustiniano Probo, fu Console e Capitano Generale dei Romani nella regione di Norcia; la madre fu Claudia Reguardati, contessa di Norcia. Qui Benedetto trascorse gli anni dell’infanzia e della fanciullezza, probabilmente già suggestionato dalla spiritualità di quei luoghi, abitati sin da III secolo da eremiti fuggiti dall’Oriente lungo la valle del Nera e che lì avevano trovato rifugio in piccole celle scavate nella roccia. All’età di dodici anni i fratelli vennero mandati a Roma per compiere gli studi, ma, stando a quanto narrato da San Gregorio Magno nel II Libro dei Dialoghi, sconvolto dalla vita dissoluta della città, Benedetto abbandonò le lettere, rifiutò i beni paterni e si ritirò prima nella valle dell’Aniene presso Eufide, poi in una grotta impervia vicino a Subiaco. Deciso ad abbracciare la vita monastica, ricevette l’abito dal monaco Romano e fu guida per altri fratelli in un ritiro cenobitico presso Vicovaro, predicando la parola del Signore.
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Uomo concreto, San Benedetto volle lasciare un modello di vita finalizzato alla perfezione e all’elevazione spirituale, ma non limitato alla trascendenza. Come Dio interviene nelle situazioni concrete della vita dell’uomo, di ogni uomo, così l’uomo stesso non deve dimenticare mai la sua presenza, glorificandola sì con la preghiera, ma anche con le azioni di ogni giorno, con il lavoro, appunto, e la carità. Azione e contemplazione, dunque, non solo per i monaci, ma per chiunque voglia accostarsi a Dio e vivere nella sua luce, nel suo cammino, seguendo le orme di Gesù Cristo, abbracciando con umiltà e gioia le fatiche e gli impegni quotidiani.
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In breve, attorno alla sua figura carismatica si raccolse un gran numero di discepoli, tanto che ben presto il Santo creò una comunità di ben dodici monasteri, ognuno con dodici monaci e un proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale. A causa di incomprensioni con i confratelli, intorno al 529, San Benedetto fondò su un’altura presso Cassino il monastero di Montecassino, con oratori in onore di San Giovanni Battista, da sempre ritenuto un modello di pratica ascetica, e di San Martino di Tours, iniziatore in Gallia della vita monastica. A Montecassino Benedetto si spense intorno al 547 – secondo altre fonti la data sarebbe il 21 marzo 543 -, poco dopo sua sorella Scolastica, con la quale ebbe comune sepoltura. La tradizione narra che spirò in piedi, sostenuto dai suoi discepoli, dopo aver ricevuto la Comunione e con le braccia sollevate in preghiera, mentre li benediceva e li incoraggiava.
IL MESSAGGIO DI BENEDETTO
Vivere alla e della presenza di Dio
Nella nostra vita quotidiana non abbiamo più nessuna, o quasi, percezione della presenza di Dio. Si parla di "laicizzazione" del mondo, così che si vengono a creare due percorsi: da un lato il puro e semplice impegno in favore degli uomini, in vista di una maggiore solidarietà umana; dall'altro, un ritorno alla propria intimità, alla meditazione come via per la separazione dalla confusione del mondo. Due percorsi che spesso procedono separati. Al punto che le persone impegnate nel mondo non hanno più tempo per la meditazione, mentre i "mistici" trovano l'impegno nel mondo troppo banale. Eppure, Benedetto potrebbe insegnarci una felice sintesi di azione e contemplazione, poichè egli non vede una separazione tra la nostra intimità e l'impegno esterno, fra la relazione con Dio e lo stare nel mondo. Per Benedetto, tutta quanta la nostra vita si svolge alla presenza di Dio. Dovunque ci troviamo, abbiamo a che fare con Dio, anche nelle faccende quotidiane più banali.
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Così, è nelle realtà del mondo che si manifesta la presenza di Dio. Cosa significhi esattamente vivere alla presenza di Dio, Benedetto lo dice nel quarto capitolo della Regola: "essere sempre consapevoli che Dio ci vede in ogni luogo". Secondo Benedetto, vivere alla presenza di Dio coinvolge tutti gli ambiti della vita umana: preghiera, lavoro, rapporto con la creazione e relazioni con il prossimo. "Solidarietà", questa grande parola d'ordine del nostro tempo, per Benedetto non è in antitesi a un ardente amore per Dio. La dimensione sociale è già di per sè religiosa. Perchè nei fratelli incontriamo Cristo stesso. La fede dunque si esprime in un rapporto nuovo degli uni con gli altri. Questo, per Benedetto, è il grande principio del vero umanesimo.
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Benedetto può aiutarci a comportarci con questa fede gli uni verso gli altri, ad affrontare i problemi interpersonali, le tensioni, le antipatie, le aggressività alla luce della reale presenza di Cristo nell'altro. Al di là dei nostri pretesti e barriere insormontabili che noi stessi edifichiamo, Benedetto può aiutarci a prendere la presenza di Cristo nel fratello abbastanza sul serio da far sì che sia essa a guidare il nostro comportamento, i nostri atteggiamenti, le nostre parole e il nostro modo di vedere. Ecco perchè il messaggio di Benedetto è quanto mai attuale.
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Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3).
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Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace.
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Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore, il monaco conquista l’umiltà, alla quale la Regola dedica un intero capitolo. In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.
La Preghiera e il Lavoro“L’ozio – scrive San Benedetto nella Regola – è nemico dell’anima; è per questo che i fratelli devono, in determinate ore, dedicarsi al lavoro manuale, in altre invece, alla lettura dei libri contenenti la parola di Dio”. Preghiera e lavoro non sono in contrapposizione ma stabiliscono un rapporto simbiotico. Senza preghiera, non è possibile l’incontro con Dio. Ma la vita monastica, definita da Benedetto “una scuola del servizio del Signore”, non può prescindere dall’impegno concreto. Il lavoro è un’estensione della preghiera. “Il Signore – ci ricorda San Benedetto – attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”.
La regola di San BenedettoNella figura di San Benedetto son stati riconosciuti molti miracoli. Tuttavia si concorda che il miracolo più duraturo è la composizione della Regola del padre benedettino (datata attorno al 530 D.C.). La regola è un manuale, un codice di preghiera per la vita monastica. Lo stile, sin dalle prime parole, è familiare. Dal prologo fino all’ultimo dei 73 capitoli, Benedetto esorta i monaci a tendere “l’orecchio del cuore”, a “non disperare mai della misericordia di Dio”:
“Ascolta, o figlio, gli insegnamenti del maestro,
e tendi l’orecchio del tuo cuore; accogli di buon animo
i consigli di un padre che ti vuole bene
per ritornare con la fatica dell’obbedienza a Colui
dal quale ti eri allontanato
per l’accidia della disobbedienza”.
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