giovedì 20 febbraio 2025

Santa Giacinta veggente di Fatima


La piccola veggente di Fatima ricevette un’abbondanza di grazie dalla Madonna e offrì le sue sofferenze per la salvezza delle anime, intensificando i sacrifici dopo la visione dell’Inferno. Gesù e Maria «amano molto chi soffre per convertire i peccatori», diceva. La sua santità ricorda la necessità di parlare dei Novissimi: inferno, purgatorio e paradiso.

                           

«Quanta compassione sento per i peccatori! Se potessi mostrar loro l’Inferno!»

Nata l’11 marzo 1910 ad Aljustrel, frazione di Fatima in Portogallo, Giacinta Marto era l’undicesima e ultima figlia di Emanuele Pietro Marto e Olimpia de Jesus. Insieme al fratello Francesco e alla cugina Lucia, fu una dei veggenti delle apparizioni mariane di Fatima, tra il maggio e l’ottobre 1917. D’indole vivace, imparò ad accettare di buon grado le sofferenze, anche compiendo piccoli sacrifici per amore di Dio e della Madonna. Ammalatasi durante una violenta epidemia di influenza “spagnola” nel 1918, morì il 20 febbraio 1920 nell’ospedale «Dona Estefânia» di Lisbona, a nove anni e undici mesi. Suo fratello Francesco l’aveva preceduta il 4 aprile 1919. Entrambi sono stati beatificati da san Giovanni Paolo II il 13 maggio 2000 e canonizzati da papa Francesco diciassette anni esatti dopo. I resti mortali di Giacinta Marto sono venerati nella Basilica di Nostra Signora del Rosario di Fatima, nella cappella sul lato sinistro dell’altare maggiore.

Uno dei divertimenti preferiti da Francesco, Giacinta e Lucia era quello di gridare ad alta voce, dall’alto dei monti, seduti sulla roccia. Il nome che più echeggiava era quello della Madonna. A volte Giacinta, (quella a cui la Vergine Santissima ha comunicato maggior abbondanza di grazie e maggior conoscenza di Dio e della virtù), come scriverà Suor Lucia, recitava tutta l’Ave Maria, pronunciando la parola seguente soltanto quando l’eco riproduceva per intero quella precedente. La Madonna scelse proprio lei, suo fratello e la cugina per rivelare a Fatima, nel 1917, i rimedi che l’umanità e la Chiesa avrebbero dovuto prendere per combattere errori e guerre: la recita del Santo Rosario, la lotta contro il peccato, la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria per arrestare l’ideologia comunista.

Il 12 settembre 1935 le spoglie di Giacinta furono trasportate da Vila Nova de Ourém a Fatima. Quando la bara fu aperta si attestò che il volto della piccola veggente era incorrotto. Venne scattata una fotografia e il Vescovo di Leiria, Monsignor José Alves Correia da Silva (1872-1957) ne inviò una copia a suor Lucia che, nei ringraziamenti, accennò alle virtù della cugina. Tale fatto indusse il Monsignore ad ordinare alla monaca di scrivere tutto ciò che sapeva della vita di Giacinta,. Così nacque la Prima Memoria, che l’autrice terminò nel Natale dello stesso 1935. Trascorsero due anni dalla Prima Memoria e il Vescovo di Leiria ordinò a Suor Lucia di scrivere, in tutta verità, la sua vita e le apparizioni mariane, così come erano avvenute. Suor Lucia obbedì, scrivendo la Seconda Memoria dal 7 al 21 novembre 1937. Dopo il pascolo, la sera, Francesco e Giacinta andavano nell’aia della famiglia di Lucia per giocare e, insieme, aspettavano che la Madonna e gli Angeli accendessero le loro «lucerne», così definivano la luna e le stelle, e allora Francesco si animava nel contarle, ma nulla lo entusiasmava di più che l’osservare il sorgere e il tramontare del sole, che identificava come la lucerna del Signore, mentre Giacinta amava maggiormente quella della Madonna.

La breve vita di Giacinta trascorse legata da un’identica serenità spirituale grazie al clima di profonda Fede che si respirava in casa. Il suo temperamento era però forte e volitivo e aveva una predisposizione per il ballo e la poesia. Era il numero uno dell’entusiasmo e della spensieratezza. Saranno gli accadimenti del 1917 a mutare i suoi interessi e più non ballerà, assumendo un aspetto serio, modesto, amabile. Il profilo che Lucia tratteggia della cuginetta è straordinario: è il ritratto dei puri di cuore, i cui occhi parlano di Dio.
Giacinta era insaziabile nella pratica del sacrificio e delle mortificazioni. Le penitenze più aspre per Lucia erano invece dettate dalle ostilità familiari e in particolare di sua madre, che la considerava una bugiarda e un’impostora. Lucia, essendo la più grande, fu la veggente più vessata e più interrogata (fino allo sfinimento) sia dalle autorità religiose che civili. A coronare questo clima intriso di tensioni e diffide c’era pure la situazione economica precaria dei dos Santos, provocata anche dal fatto che nel luogo delle apparizioni mariane, di proprietà della famiglia, non era più possibile coltivare nulla: la gente andava con asini e cavalli, calpestando tutto.

Agli inizi del mese di luglio del 1919 Giacinta entrò in ospedale, anche lei colpita dalla Spagnola. Sua madre le chiese che cosa desiderasse e la piccola chiese la presenza dell’amata Lucia. La visita fu tutto un parlare delle sofferenze offerte per i peccatori al fine di allontanarli dall’Inferno  che con grande sgomento era stato loro mostrato dalla Madonna e per il Sommo Pontefice: 

"Tu rimani qua per dire che
 Dio vuole istituire nel mondo
la devozione al Cuore Immacolato di Maria.
 Quando ce ne sarà l’occasione,
 non ti nascondere. Di’ a tutti che Dio
 ci concede le grazie per mezzo del Cuore
 Immacolato di Maria; che le domandino 
a Lei, che il Cuore di Gesù vuole che 
vicino a Lui, sia venerato il Cuore
 Immacolato di Maria. Chiediamo
 la pace al Cuore Immacolato di Maria;
 Dio la mise nelle mani di Lei. S’io potessi
 mettere nel cuore di tutti, il fuoco che 
mi brucia qui nel petto e mi fa amare
 tanto il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria!".

Giacinta Marto, a dieci anni il 20 febbraio 1920 moriva, a causa della pandemia del virus della Spagnola (influenza H1N1), come suo fratello Francesco.
 
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Dall’ultima apparizione di Fatima del 13 ottobre 1917 al dies natalis di Giacinta trascorsero 28 mesi: è in questo tempo che si santificò, spogliandosi totalmente di se stessa per servire umilmente Gesù, per consolarLo, per farLo contento con i mezzi che la Madre di Dio aveva rivelato alla Cova d’Iria: la preghiera, il Santo Rosario, la rinuncia, il sacrificio. La penitenza è l’unico mezzo per arrivare a Cristo Signore, bene lo sanno i Santi. Giacinta morì completamente povera e sola nell’ospedale di Lisbona, e non ebbe neppure la consolazione di ricevere la santa Comunione, perché le venne negata.
La fede di Giacinta non ammette compromessi, è forte, non fa sconti a se stessi ed è coraggiosa, va contro il nemico, il demonio e le sue tentazioni, quelle che portano al peccato. La guerra terribile non è contro il mondo, ma è contro se stessi e chi vince quella guerra si fa partecipe della Redenzione dell’Unico Salvatore.
La Chiesa ha meditato molto prima di elevarla alla gloria degli altari, non perché si avesse qualche dubbio sulla sua vita cristallina, ma perché fior di teologi cercavano di mettersi d’accordo su una questione non di poco conto: se cioè a 10 anni non ancora compiuti le virtù possono essere vissute in grado eroico, come è appunto richiesto ad ogni cristiano che viene proposto alla venerazione dei fedeli come beato o santo.
Alla fine ogni dubbio si è sciolto, anche perché il buon Dio ha messo più di una firma (i miracoli, richiesti per portare qualcuno “sugli altari”) sulla santità di questa bambina. Non dunque per aver avuto sei apparizioni della Madonna, ma perché queste l’hanno aiutata a raggiungere la perfezione cristiana, noi oggi abbiamo la gioia di festeggiare il 20 febbraio Giacinta Marto, una dei tre veggenti di Fatima, che san Giovanni Paolo II ha beatificato insieme al fratellino Francesco il 13 maggio 2000 e la cui canonizzazione è stata il 13 maggio del 2017.

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Nelle sue Memorie, Suor Lucia dà la parola a Giacinta appena beneficiata da una visione: «Non vedi tante strade, tanti sentieri e campi pieni di persone che piangono per la fame e non hanno niente da mangiare? E il Santo Padre in una chiesa, davanti al Cuore Immacolato di Maria, in preghiera? E tanta gente in preghiera con lui?». Grazie, fratelli e sorelle, di avermi accompagnato! Non potevo non venire qui per venerare la Vergine Madre e affidarLe i suoi figli e figlie. Sotto il suo manto non si perdono; dalle sue braccia verrà la speranza e la pace di cui hanno bisogno e che io supplico per tutti i miei fratelli nel Battesimo e in umanità, in particolare per i malati e i persone con disabilità, i detenuti e i disoccupati, i poveri e gli abbandonati. Carissimi fratelli, preghiamo Dio con la speranza che ci ascoltino gli uomini; e rivolgiamoci agli uomini con la certezza che ci soccorre Dio.
Egli infatti ci ha creati come una speranza per gli altri, una speranza reale e realizzabile secondo lo stato di vita di ciascuno. Nel “chiedere” ed “esigere” da ciascuno di noi l’adempimento dei doveri del proprio stato (Lettera di Suor Lucia, 28 febbraio 1943), il cielo mette in moto qui una vera e propria mobilitazione generale contro questa indifferenza che ci raggela il cuore e aggrava la nostra miopia.
Non vogliamo essere una speranza abortita! La vita può sopravvivere solo grazie alla generosità di un’altra vita. «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24): lo ha detto e lo ha fatto il Signore, che sempre ci precede. Quando passiamo attraverso una croce, Egli vi è già passato prima.
Così non saliamo alla croce per trovare Gesù; ma è stato Lui che si è umiliato ed è sceso fino alla croce per trovare noi e, in noi, vincere le tenebre del male e riportarci verso la Luce.
Sotto la protezione di Maria, siamo nel mondo sentinelle del mattino che sanno contemplare il vero volto di Gesù Salvatore, quello che brilla a Pasqua, e riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è missionaria, accogliente, libera, fedele, povera di mezzi e ricca di amore.


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