martedì 12 marzo 2013

Don Luigi Orione


Il folle della carità
E’ stato proclamato santo da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004

"Qualunque 
sia il fanciullo 
che volete rendere 
buono e virtuoso:
 fate il bene davanti a lui,
 fate del bene a lui stesso
 fate fare del bene a lui."
Oggi la Chiesa celebra la memoria liturgica di Don Orione. Per meglio conoscere questo grande Santo proponiamo una adeguata similitudine; quella tra San Paolo e Don Orione, nella visione della carità! Entrambi hanno parlato e vissuto della Carità. Nella vita di Don Orione si trovano tante affinità con la vita di S. Paolo, che San Giovanni Paolo II lo ha definito “uomo dalla tempra e dal cuore dell’Apostolo Paolo”. Santo “di casa” don Orione, è soprannominato, e non a caso, il “folle della carità”. Se San Giovanni Bosco fu l’esempio per l’educazione dei ragazzi, san Luigi Orione fu l’esempio per le opere di carità; girò varie volte l’Italia per raccogliere vocazioni e aiuti materiali per la sue molteplici Opere.
La carità è fatica (1Ts 1,3) ma solo attraverso di essa si costruisce la comunità (1 Cor 8,1b), Bene lo avevano compreso i nostri due santi. Don Orione esortava: “ prediligete, preferite la carità, l’amor di Dio, l’amore delle anime, l’amor del prossimo”. In ogni nostro pensiero, in ogni nostra azione il motore sia sempre e solo l’amore, non un amore fatuo, generico, ma un amore, una carità con le stesse caratteristiche indicate dall’Apostolo Paolo e condivise da san Luigi Orione:
La carità è paziente, magnanima ha la forza di sopportare le ingiurie e di non renderle. E’ una qualità di Dio, il quale è “lento alla collera” e da’ ai peccatori il tempo di convertirsi. La carità, dalla fiducia nel Signore, dalla pazienza e dal tempo, sa sperare e aspettare i momenti e le ore di Dio e il buon esito d’ogni santa impresa.
La carità è benigna. E’ l’attitudine di chi aiuta sorridendo, prevenendo, con tatto discreto
Facciamo regnare la carità con la mitezza del cuore, col compatirci, coll’aiutarci vicendevolmente, col darci la mano e camminare insieme. Seminiamo a larga mano sui nostri passi, opere di bontà e di amore, asciughiamo le lacrime di chi piange. La carità non è invidiosa: esclude ogni gelosia, perché la gelosia è grettezza mentre la carità è magnanima; la gelosia è divisione, mentre la carità è comunione
“Lavorare cercando Dio solo e non in un continuo affanno di qualcuno che mi possa vedere, apprezzare, applaudire… Ogni azione fatta per chiasso e per essere visti è come un fiore passato per più mani”
La carità non si vanta. Essa, cioè è prudente, ha il senso delle proporzioni
Non ambite cariche e dignità perché il nostro amor proprio ragiona sottilmente e si veste talora di umiltà e giustifica facilmente ai nostri occhi le nostre azioni e uccide l’anima come un sottile e dolce veleno.
La carità non si gonfia: gonfiarsi indica l’atteggiamento di chi fa sentire il peso del suo gesto e del suo prestigio. L’amore invece si pone a livello degli altri.
Dio si manifesta e si compiace di abitare in quelli che sentono la loro nullità, che diventano come nulla, per l’amore di Dio (Lettere I p 122)
La carità non manca di rispetto. L’amore è attento, tiene conto della fragilità del prossimo; è rispettoso, sensibile
“ La carità non ha l’occhio nero, non ha spirito di discussione, non conosce i ma né i se: non ha spirito di contraddizione, di censura, di critica, di mormorazione”
La carità non cerca il suo interesse. Imita Cristo che “non cercò di piacere a se stesso”(Rm15,3). Il discepolo di Gesù deve dimenticare se stesso (Fil 2,4; 1Cor1,20)
“Vorrei stringere nelle mie piccole braccia umane tutte le creature per portarle a Dio. E vorrei farmi cibo spirituale per i miei fratelli che hanno fame e sete di verità e di Dio; aprire il cuore alle innumerevoli miserie umane e farmi servo dei servi” (Scr100, 187). La carità non si adira. Non è acida, collerica, non perde il controllo di sé.
“La carità ha sempre il volto sereno com’è sereno il suo spirito, è tranquilla e quando parla, non alza mai la voce”. La carità non tiene conto del male ricevuto. La carità ha il cuore semplice e candido: non pensa al male sia nel senso che non lo sospetta negli altri, sia nel senso che non progetta di commetterlo
“Dobbiamo perdonare e perdonare tutto a tutti. Dovete coprire con un monte di benedizione non solo quelli che vi fanno del bene, ma anche tutti quelli che vi fanno del male (discorso del 23/VI/1929). La carità non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità. Soffre per ogni forma di ingiustizia e gioisce di ogni verità, ovunque si trovi.
“Cercare e medicare le piaghe del popolo, cercarne le infermità: andargli incontro nel morale e nel materiale…Cristo andò verso il popolo. Deve starci a cuore il popolo… Evitare le parole: "ne abbiamo piene le tasche”. La carità tutto copre. Non propaga il male degli altri, ma lo copre con il suo silenzio e con la sua discrezione
“Non andate a riferire quel che uno può aver detto di male: non aggiungete esca al fuoco; cercate sempre di spegnere. Sentite una cosa contro una persona? Fatela morire dentro di voi. Guardatevi dalla satira, dalla parola che ferisce. Non dite: l’ho detto per burla! Le burla che offendono la carità lasciatele da parte”. La carità tutto crede. È portata a dar credito al prossimo; si fida.
Amare l’uomo sempre ma soprattutto quando la degradazione del vizio e dell'errore ne hanno fatto un oggetto di disgusto intollerabile. La carità tutto spera. Non dispera: spera il bene e il ravvedimento
Abbiate un sorriso e una parola amabile per tutti, senza differenze: fatevi tutti a tutti per portare tutte le anime a Gesù. La carità del Signore nostro crocifisso: …ecco la speranza dell’avvenire. Con la carità faremo tutto, senza carità faremo niente! . La carità tutto sopporta. Non si lamenta delle freddezze e delle ingratitudini, ma le sopporta. La nostra vita sia un olocausto, un inno, un cantico sublime di carità e di consumazione totale di noi stessi nell’amore a Dio, alla Chiesa, ai fratelli.

Nacque a Pontecurone nella diocesi di Tortona, il 23 giugno 1872. A 13 anni entrò fra i Frati Minori di Voghera. Nel 1886 entrò nell’oratorio di Torino diretto da san Giovanni Bosco. Nel 1889 entrò nel seminario di Tortona. Proseguì gli studi teologici, alloggiando in una stanzetta sopra il duomo. Qui ebbe l’opportunità di avvicinare i ragazzi a cui impartiva lezioni di catechismo, ma la sua angusta stanzetta non bastava, per cui il vescovo gli concesse l’uso del giardino del vescovado. Il 3 luglio 1892, il giovane chierico Luigi Orione, inaugurò il primo oratorio intitolato a san Luigi. Nel 1893 aprì il collegio di san Bernardino. Nel 1895, venne ordinato sacerdote. Molteplici furono le attività cui si dedicò. Fondò la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della Carità; gli Eremiti della Divina Provvidenza e le Suore Sacramentine. Mandò i suoi sacerdoti e suore nell’America Latina e in Palestina sin dal 1914. 
Morì a Sanremo nel 1940.


 Fù soprattutto un santo sacerdote, un santo della carità, un uomo estremamente capace di contatti veri, appassionati, intelligenti, coinvolgenti, propositivi, perché il suo “focus” di vita era il “bene delle anime”, il progresso delle persone e della società. Pare di poter dire che egli non fu un elaboratore di cultura, ma uomo di cultura sì, e tra i più vivaci di questo secolo: per le sue forti esperienze, per i suoi solidi valori, per le sue significative relazioni. Si interessò di persone, di problemi e di molti ambiti vitali sempre in vista del “bene delle persone” che egli avvertiva come una “passione”, un “martirio”, una “musica soavissima”. Tra le dimensioni del “bene” dell’uomo, senz’altro quella pedagogica ebbe in lui un rilievo di pensiero ed una concretezza di esperienza del tutto particolari. Nell’ambito educativo-assistenziale, forse più che in altri, oltre ad offrire esperienze culturalmente significative, Don Orione ha maturato pure una certa elaborazione culturale, qualcosa che si avvicina ad un “metodo educativo”, che egli chiamò “cristiano-paterno”. 

Un atto di fede guida e sostiene l'impegno di solidarietà e la relazione di aiuto verso i più bisognosi e svantaggiati della società: essi sono i prediletti di Dio, e dunque anche i nostri prediletti. "Iddio ama tutte quante le sue creature, ma la sua Provvidenza non può non prediligere i miseri, gli afflitti, gli orfani, gli infermi, i tribolati d'ogni maniera, dopo che Gesù li elevò all'onore di suoi fratelli . L'occhio della Divina Provvidenza è, in special modo, rivolto alle creature più sventurate e derelitte. Vedere e servire Cristo nell’uomo”.
Prima dell’azione verso chi ha bisogno di cura, in Don Orione scatta la contemplazione della “imago Dei”, per cui i il “servizio” al prossimo e il “culto” a Dio risultano non avere più dei confini tanto netti e separati, anzi si implicano e rafforzano reciprocamente. Lo ricaviamo in tante espressioni, quasi spontanee e ovvie in bocca a Don Orione: "I nostri cari poveri. .. non sono ospiti, non sono dei ricoverati, ma sono dei padroni, e noi loro servi, così si serve il Signore" (Lettere II, p.227). Lo ricaviamo dal suo modo di impostare le opere educative-assistenziali. Sviluppare, restaurare, esprimere la “presenza divina nell’uomo”, radice ultima della dignità di ogni persona: questo è il nobile motivo dell’agire educativo, e di qui derivano gli atteggiamenti di autentico rispetto, di cura e di devozione. Viene da pensare alla contemplazione di Michelangelo che “vedeva” il Mosé dentro il masso informe di marmo e la sua azione era rivolta – e sostenuta nella fatica – a “tirarlo fuori”, a farlo emergere. L’azione educativa, nei suoi diversi momenti e ambiti, ha sempre bisogno di contemplazione.


La cura dell'uomo non è solo questione di tecniche e di metodologie; è questione di relazione, di amore che mette al centro la persona e il suo sviluppo integrale: spirito, mente e cuore. A volte, anche il servizio alle persone entra in una logica autistica dei “mezzi” che diventa “sciocca”, inefficace e pur violenta quanto non è di fatto, puntualmente e integralmente, correlata con i “fini” ricapitolabili nel “bene della persona”. "Io non vi raccomando le macchine; vi raccomando le anime dei giovani, la loro formazione morale, cattolica e intellettuale. Curatene lo spirito, coltivate la loro mente, educate il loro cuore!". Don Orione ha sviluppato un suo particolare metodo pedagogico cristiano-paterno, rielaborazione-integrazione del metodo preventivo conosciuto nel contatto con i Salesiani. Qui mi limito a sottolineare una delle indicazioni fondamentali di tale metodo: il “prendersi cura”. "Amateli nel Signore come fratelli vostri, prendetevi cura della loro salute, della loro istruzione e d'ogni loro bene: sentano che voialtri vi interessate per crescerli  Non vi è terreno ingrato e sterile che, per mezzo di una lunga pazienza, non si possa finalmente ridurre a frutto; così è l'uomo".  Konrad Lorenz, il famoso etologo, definì la persona matura – che è anche la persona felice - in 4 parole: “colui-che-ha-cura”. La “cura” è interesse, responsabilità, dedizione, relazione, passione per far crescere… Da questa “cura” dipendono in gran parte i frutti educativi, compresi quelli riabilitativi, nei rapporti e servizi di aiuto alle persone.


Don Orione aveva ben chiaro ciò che è "mezzo" e ciò che è "fine" nell'educazione e nell'aiuto a chi necessita di un sostegno particolare per crescere. Aveva, perciò, una grande apertura verso la modernità dei mezzi più adatti e teneva ben chiaro e fisso il fine: elevare in Cristo chi si serve (piccoli, malati, sofferenti, soli) e chi vede servire (le famiglie, la società). Sono nuovi i tempi? Via i timori, non esitiamo; muoviamo alla loro conquista con ardente e intenso spirito di apostolato, di sana, di intelligente modernità. Gettiamoci alle nuove forme, ai nuovi metodi di azione religiosa e sociale, sotto la guida dei Vescovi, con fede ferma, ma con criteri e spirito largo. Tutte le buone iniziative siano in veste moderna, basta riuscire a seminare, basta poter arare Gesù Cristo nella società e fecondarla di Cristo".
A meglio riuscire a salvare anime (questa parola “anime”, sempre in bocca a Don Orione, aveva un significato ben concreto e completo, tutt’altro che spiritualistico e disincarnato), bisogna pur saper adottare certi metodi e non fossilizzarci nelle forme, se le forme non piacciono più, se diventano, o sono diventate antiquate e fuori uso.  E adoperiamo tutte le sante industrie, tutte le arti più accette e più atte per arrivare a questo!". Infine, una ricetta per bene educare. Don Orione non l’ha pronunciata ad un simposio specializzato, ma l’ha detta e scritta per la buona gente - e soprattutto per le mamme – che hanno cura dei loro figli.

Si sono scritti dei grossi libri sulla educazione e si scriveranno chissà quanti volumi su questo importante ed inesauribile soggetto. Qualunque sia il fanciullo che volete rendere buono e virtuoso: fate il bene davanti a lui, fate del bene a lui stesso, fate fare del bene a lui.

"Siate perseveranti o madri; 
tenete il vostro figlio a questo regime,
 tenetelo pazientemente e costantemente 
in quest'atmosfera di bene da vedere, 
di bene da ricevere, di bene da fare: egli non resisterà,
 e diventerà quale lo vorrete”

Maria Cristina Siino, 12/03/2013

12/03/2024

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