I misteri dolorosi ( Martedì e Venerdì )
NEL PRIMO MISTERO DOLOROSO
CONTEMPLIAMO: L'AGONIA DI GESÙ NELL'ORTO
DEGLI ULIVI.
In quella tragica notte nell'orto degli
ulivi, Gesù sprona i suoi alla preghiera, con accenti accorati e usando per ben
due volte le stesse parole: “Pregate, per non entrare in tentazione”. (Lc
22,46). Questo passo del Vangelo, come del resto tutta la vita e l'insegnamento
di Gesù, è un invito alla preghiera come qualcosa di indispensabile, di
essenziale all'essere stesso di ogni uomo e di ogni donna. Gesù pregava il
Padre suo e ci ha insegnato a fare altrettanto, rivolgendoci a Dio come Abbà,
Padre, papà, babbo mio, babbo nostro con la certezza della sua protezione, con
la sicurezza, con il cieco abbandono al suo amore, con quella forza e
quell'ardore che ci permettono di affrontare ogni situazione della vita. Perché
questo forte richiamo di Gesù? Perché, conoscendo egli la natura umana, sa che,
una volta scattata la molla della tentazione, essendo la “carne debole”, c'è il
pericolo che si ceda. Siamo in mezzo al mondo e, da qualsiasi parte ci giriamo,
troviamo qualcosa che è in antitesi con Cristo e con la sua mentalità. Nel
mondo si respira aria di consumismo, di edonismo, di materialismo, di
secolarismo dappertutto. E proprio per difenderci da queste insidie, sempre
pronte a colpirci e poi a scoraggiarci, Gesù ci indica il mezzo per eccellenza:
la preghiera. Ma poiché sa che sa soli, in un mondo come il nostro, sarebbe
difficile farcela, si offre lui stesso di darci una mano. Questo avviene quando
preghiamo insieme, uniti nel suo nome e concordi nell'amore. Infatti, in questo
modo, è lui stesso, presente fra noi secondo la sua promessa: “Dove sono due o
tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), la nostra più
grande risorsa nelle prove della vita. Infatti, come diceva Giovanni
Crisostomo, “grande è la forza proveniente dall'essere riuniti... perché,
stando riuniti insieme, cresce la carità; e, se cresce la carità,
necessariamente cresce fra noi la realtà di Dio”. Le parole di Gesù “Pregate,
per non entrare in tentazione” sono parole angosciate dell'uomo-Dio, che vive
il preludio della sua passione e vorrebbe evitare ai suoi discepoli dolori
indicibili e dure lotte. Per raccogliere e far nostre le parole di Gesù
dobbiamo, dunque, rivolgerci, come lui, al Padre, con la coscienza della nostra
fragilità, ma anche con estrema Fiducia. E far questo sia con la preghiera
personale, sia con quella comunitaria, dove Gesù è fra noi.
NEL SECONDO MISTERO DOLOROSO
CONTEMPLIAMO: GESÙ CHE VIENE FLAGELLATO
ALLA COLONNA
Contemplare la flagellazione di Gesù
significa imparare ad accettare i dolori fisici, grandi come una malattia grave
o piccoli come uno stato di stanchezza. Accettarli ed offrirli a Gesù, unirli
alla sua passione, perché così acquistano un valore infinito.
L'uomo soffre certamente per un fattore
negativo come un incidente o una malattia o una disavventura... Ma Dio, che è
amore, dà un altro motivo, un senso nuovo al suo patire: con esso l'uomo dà un
contributo alla propria salvezza, alla propria santificazione, e concorre a
quella dei suoi fratelli.
Sì, ci vuole pure il nostro patire per
riuscire a cambiare le persone, a creare un mondo nuovo.
Per noi, infatti che vogliamo lavorare per
il regno di Dio, è soprattutto la croce che vale, e vediamo perciò nella
malattia qualcosa di prezioso: essa ci ricorda quel qualcosa che Gesù ha scelto
per la redenzione del mondo, che è, appunto, il dolore. Il dolore è un dono che
Dio fa ad una creatura. E questo non è soltanto un modo di dire per consolarci
o per consolare glia ammalati. Tutti coloro che stanno poco bene sono veramente
amati da Dio in modo speciale, perché più simili a suo Figlio.
In tutte le sofferenze, comunque, bisogna dire a lui:
«Sei tu, Signore, l'unico mio bene, perché ho scelto te; non ho scelto altri.
Quindi io voglio te. Se mi dai delle gioie, per rinvigorirmi, in modo che sia
più facile abbracciare poi il dolore, ben vengano. Ma io ho scelto il dolore
perché in esso ci sei tu».
NEL TERZO MISTERO DOLOROSO
CONTEMPLIAMO: GESÙ CHE VIENE CORONATO DI SPINE
Contemplare l'incoronazione di spine di
Gesù significa imparare ad accettare i dolori morali, le delusioni, le
amarezze, le piccole e grandi umiliazioni che nella vita inevitabilmente
dobbiamo subire. Accettarli ed offrirli a Gesù, unirli alla sua passione,
perché così acquistano un valore infinito.
Come dobbiamo comportarci, quindi, quando
ci si presenta un dolore? Si va in fondo al cuore e si dice: «Gesù, io voglio
seguirti, anche in croce, anche abbandonato, e adesso ne ho l'occasione. Ti
offro questo dolore, sono felice di avere questo dolore da donarti» E poi ci si
mette ad amare il fratello, o si continua a fare qualsiasi altra volontà di
Dio. In genere, se sono dolori spirituali passano, e così si può di nuovo
riprendere il cammino della vita con pace e gioia.
Tutte le circostanze negative sono quindi
così come sono, perché materialmente sono così; ma c'è pure in esse la mano, la
Provvidenza di Dio che le trasforma, come in un'alchimia, e le fa diventare
carburante per la nostra vita spirituale.
NEL
QUARTO MISTERO DOLOROSO
CONTEMPLIAMO: GESÙ CHE PORTA LA CROCE AL CALVARIO
Questo mistero, la condanna a morte di
Gesù, ci spinge a meditare sulla nostra morte. Sorgerà il giorno nel quale
anche per noi arriverà la “condanna a morte”, un giorno che del quale noi non
vedremo il tramonto su questa terra. E allora il modo migliore per prepararsi a
quel giorno è accettarlo subito, sin d'ora, dicendo con tutto il cuore a Gesù:
“Quando verrà la mia condanna a morte, voglio come te accettare la morte. Io
l'accetto quando tu vuoi, come tu vuoi, anche sotto un'automobile, anche a
causa di una malattia, anche subito, anche fra dieci anni. Io l'accetto come
l'hai accettata tu.”
Ma per vivere coerentemente con questo
spirito, non dobbiamo mai dimenticare quelle parole di Gesù: “Se qualcuno vuol
venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi
segua”. (Lc 9,23).
Non c'è cristiano senza la croce. Se non
portiamo la nostra croce non possiamo seguire Gesù che sale al Calvario
portando la sua croce. La croce è la radice della carità. Con essa abbiamo una
vita solida, ben piantata, protetta contro le tempeste. Con essa si cammina
sicuri. Due grandi amori deve possedere il nostro cuore: Maria come punto d'arrivo
e la croce come mezzo per essere un'altra lei nel mondo, e adempiere i disegni
di Dio.
NEL
QUINTO MISTERO DOLOROSO
CONTEMPLIAMO:
GESÙ CHE VIENE CROCIFISSO E MUORE PER
NOI
In questo mistero la Madonna ci addita un dolore particolare di Gesù,
quello supremo, quando nel culmine della sua sofferenza, ha gridato: «Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mt 27,46). Il Figlio di Dio ebbe in quel
terribile momento l'impressione che il Padre, che era uno con lui, lo
abbandonasse. E lo strazio che provò nel suo intimo fu talmente abissale che
non lo si può spiegare. Sperimentava nel suo cuore divino quella separazione da
Dio che l'uomo s'era procurato col peccato con tutte le sue conseguenze: la sua
anima era immersa nel buio più nero, nel dubbio più atroce, nell'assenza
completa di pace; avvertiva tutto il peso dei nostri peccati che s'era
addossato... Ma nonostante tutto egli si affidava con totale fiducia al Padre:
«Padre - disse - nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). Maria,
polarizzando la nostra attenzione su Gesù crocifisso e abbandonato, vuole aiutare
anche noi a trovare la forza per superare ogni difficoltà. Se pure il nostro
cuore soffrirà per una qualche mancanza di pace, di tranquillità, di sicurezza,
ricorderemo quella sofferenza di Gesù. Se avvertiremo l'aridità, il buio, la
confusione dentro di noi o se ci attanaglierà il dubbio o la pesantezza dei
nostri peccati, penseremo a lui. E, andando in fondo al nostro cuore, gli
diremo che vogliamo fare come lui: accettare il dolore, dirgli il nostro “sì”,
amarlo sempre, subito e con gioia. Se così faremo, e continueremo poi a vivere
la nostra vita cristiana, sperimenteremo, tra l'altro, come per miracolo, che,
quando lo si abbraccia, il dolore - specie se spirituale - si tramuta, per una
divina alchimia, in amore. E con la sofferenza ben portata crescerà in noi
l'unione con Dio, e aiuteremo gli altri a trovarla o rinsaldarla.
Maria Cristina Siino
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