Essere cristiani è celebrare la vita
«Leopardi era pessimista, eppure anche lui continuava a sperare ogni
singola volta. Non si è mai arreso: diceva che la felicità era solo un
intervallo fra un dolore e l'altro, è vero. Ma non mi sembra che si sia mai
rifiutato di cercare quegli intervalli ogni volta che era possibile. Anzi, è
proprio dei pessimisti cercare di aggrapparsi come possono alla felicità ogni
volta che la trovano. Perché per primi sanno quanto possa essere rara e
preziosa».
Così scrive su un social network Sabrina, studentessa in vacanza del
liceo scientifico e animatrice in oratorio. La felicità non è la risata facile
o l'ilarità smodata, non è la vittoria della propria squadra né una vincita
alla lotteria, non è però neanche il pensare di aver trovato tutte le risposte
ai propri problemi e ritenere di essere tanto nella verità che l'importante è
che noi siamo felici e che magari la felicità dell'altro possa dipendere da
noi.
E per un cristiano che cos'è la felicità? Mi piace allora riportare una
frase che mi ritorna in mente costantemente: Chi ha incontrato Gesù Cristo è
felice, ma se non lo è, vuol dire che ha incontrato qualcun altro!
Un cristiano, dunque, può essere pessimista ed infelice? Può sempre
lamentarsi? L'incontro con il Cristo della gioia ci richiama al dovere di impegnarci
per una società che non trascuri le relazioni significative di ogni genere.
Cosa fare dunque? La risposta è nel nostro quotidiano, l'impegno innanzitutto è
quello di prendere coscienza del Battesimo e della Cresima ed essere testimoni
veri e gioiosi dell'amore di Dio.
Ciò significa non fare cose straordinarie, ma rendere tali quelle
ordinarie. Proviamo a cambiare la nostra vita familiare, il rapporto con gli
amici, quello con i più lontani, il nostro modo di studiare o lavorare, di fare
volontariato, di vivere nella Chiesa; nel mutare queste cose, confrontiamoci
costantemente con la Parola di Dio e con le Beatitudini.
Non mancheranno le difficoltà: si combatte con la crisi vocazionale,
economica, educativa e dei valori; si lotta con la stanchezza, contro la
routine, con gli insuccessi educativi, con le debolezze umane. Tutto ciò non si
nasconde ma va offerto quotidianamente, alla luce del sole, con il sudore di
ogni relazione importante e la costanza della preghiera.
Qualcuno, forse un po' sfiduciato, dirà: «Una volta era diverso, belli
i tempi antichi, invece ora...». Da cristiani si sa, però, che "fare
memoria" non è un nostalgico e malinconico ricordo, non è fissare le
lapidi e le statue erette un tempo, ma è celebrare la vita, illuminare una
storia che continua, che risorge sempre "il terzo giorno", pronti a
perdere ciascuno qualcosa, magari a cambiare tutto, ma fiduciosi nell'annuncio
della speranza.
Nella società del "tutto e subito" vogliamo essere ancora
testimoni credibili, apostoli attenti ai giovani e alle loro famiglie,
coinvolgenti nelle proposte vocazionali, coraggiosi nella spinta missionaria,
ricchi di forte spiritualità.
Marco Pappalardo
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