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«La Madre Moretta»
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"Il Dio della speranza e della libertÃ
rafforzi il nostro desiderio di lavorare per
spezzare le catene del traffico di esseri umani
e ci aiuti a creare un mondo senza schiavitù globalizzando la fraternità "
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Elevata all’onore degli altari l’1 ottobre dell’anno giubilare 2000.
Una santa interculturale
DA SCHIAVA A FIGLIA DI DIO
Giuseppina M. Bakhita nasce nel Sudan nel 1869 e morì a Schio (Vicenza) nel 1947.
Fiore africano, che conobbe le angosce del rapimento e della schiavitù, si aprì mirabilmente alla grazia in Italia, accanto alle Figlie di S. Maddalena di Canossa.
A Schio (Vicenza), dove visse per molti anni, tutti la chiamano ancora «la nostra Madre Moretta». Il processo per la causa di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1 dicembre 1978 la Chiesa emanò il decreto sull’eroicità delle sue virtù. La divina Provvidenza che «ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell’aria», ha guidato questa schiava sudanese, attraverso innumerevoli e indicibili sofferenze, alla libertà umana e a quella della fede, fino alla consacrazione di tutta la propria vita a Dio per l’avvento del regno.
Conosciamola meglio....
Bakhita ovvero «Fortunata» era una bambina nera che viveva in un villaggio africano e che a sei anni venne rapita dai mercanti di schiavi e portata al mercato. Strappata dalle braccia della mamma e separata dai fratelli e dalle sorelle (aveva anche una gemellina), incatenata e frustata a sangue, è talmente impaurita che dimentica tutto, persino il suo nome e quello della sua mamma. Solo una bambina africana. . . . rapita e venduta come
schiava da mercanti. Dopo esser stata di proprietà di vari padroni, fu
acquistata dal console italiano a Karthoum il quale la condusse con sé a
Venezia. Conobbe la fede cattolica e ricevette il Battesimo, assumendo
il nome di Giuseppina. Entrata fra le Canossiane, visse a Schio, dove si
distinse per la grande carità verso i bisognosi. Assiste a crudeltà inenarrabili, come alla scena di una madre che non riesce a far tacere il suo bambino attaccato al seno svuotato di latte dalla marcia estenuante, e che si vede strappare dalle braccia il piccolo. Il mercante di schiavi lo prende per i piedi, lo fa roteare in aria e lo lancia contro una roccia, dove la sua testa si sfracella. La madre, pur stremata, in quel momento diventa una iena e si lancia contro il mercante, che la ammazza a calci, pugni e frustate. Subisce percosse di ogni tipo, passando di mano in mano per vari padroni. La sua pelle viene anche incisa per fare dei disegni decorativi sul corpo che era sempre nudo, come toccava a tutte le schiave, solo per un capriccio della padrona. Dopo l'incisione, dentro la ferita fatta col rasoio, viene messo e stropicciato del sale, affinché si formino delle cicatrici più grosse e indelebili, poi le schiave vengono buttate sulle stuoie in preda alla febbre per l'infezione, al delirio, sanguinanti.
I NUOVI PADRONI
Molte schiave muoiono ma Bakhita si riprende, e, dopo due mesi, così "decorata", si rimette in piedi a servire, subendo molto altro nella casa di un generale turco dove è finita a servizio. Infine viene comprata dal console italiano: è finalmente in una vera famiglia, le danno per la prima volta in vita sua, a diciotto anni, una tunica per coprirsi (fino ad allora aveva vissuto nuda). Riceve per la prima volta gesti umani, non viene più picchiata. Non è certo trattata da donna libera, ma almeno da persona, conosce per la prima volta una sorta di dignità . Così, quando il console rientra nel suo paese, chiede di partire con lui e la moglie e, arrivata in Italia, viene "regalata" a una famiglia di amici. I nuovi padroni hanno una bambina piccola, la quale si affeziona moltissimo a Bakhita, che dorme con lei nella stessa cameretta, e le fa da mamma. Dopo tre anni la famiglia decide di trasferirsi in Africa, ma prima sono necessari dei preparativi, e diversi sopralluoghi: per molti mesi Bakhita e la bambina vengono lasciate da alcune suore a Venezia.
E qui succede il miracolo: per la prima volta sente parlare di Dio, e quando le dicono che attraverso il battesimo anche lei può diventare figlia di Dio, «anche mi???, povera negra???», impazzisce di gioia. Lei, proprio lei che aveva subito le più atroci torture e le più totali umiliazioni, era figlia del padrone dell'Universo? Se quello era suo padre, lei era dunque una principessa? Questa notizia per Bakhita diventa la cosa più importante di tutte, capisce che è la cosa più preziosa della vita e non la vuole più perdere. Quando i suoi padroni tornano in Italia dall'Africa, dove avevano aperto un albergo, per portarci lei e la bambina e assegnarle il ruolo di barista, lei, che pure in qualche modo sarebbe stata "promossa" e avrebbe finalmente avuto un lavoro retribuito, dignitoso, non vuole lasciare le suore che per prime le hanno parlato di suo Padre, il Re dei re, e di sua madre, la Madonna, versione celeste e potenziata di quella mamma per cui aveva tanta nostalgia, pur non ricordando nulla di lei.
FELICE E PIENA DI GRATITUDINE, NONOSTANTE LE UMILIAZIONI
Il resto della sua vita trascorrerà nello stupore e nella riconoscenza, rinnovata ogni giorno per cinquant'anni, di essere considerata degna non solo di essere trattata come un essere umano, ma addirittura dell'amore di Dio, morto per lei. Come le invidio questo stupore, noi che ci addormentiamo alle messe e come le invidio l'umiltà con cui diceva dei suoi aguzzini che «non erano cattivi, solo che non conoscevano Dio».
Bakhita è finalmente felice e piena di gratitudine, anche se per lei continuano le umiliazioni: era raro ai primi del Novecento vedere in Italia una donna di colore. I suoi piccoli allievi dell'asilo la schifavano, all'inizio, e se lei li toccava correvano a lavarsi. Una volta una donna in treno le chiese se i palmi delle mani le si fossero schiariti a forza di lavarle, e lei rispose che sì, e che comunque le si sarebbero schiariti anche i dorsi, col tempo. Era una donna veramente libera, libera da tutti i condizionamenti e dagli sguardi degli altri, perché le interessava uno sguardo solo. Con il battesimo prese il nome di Giuseppina diventando santa Giuseppina Bakhita.
"Non erano cattivi;
soltanto . . . .
non conoscevano il buon Dio"
Nell’Angelus del 2019 Papa Francesco ci ha consegnato una preghiera che ci invita a guardare a Bakhita e a trarre dalla sua storia un insegnamento più che mai attuale: il valore della libertà e l’appello a impegnarsi in prima persona perché ciascun essere umano possa goderne e vivere appieno la propria umanità .
La Santa è patrona del Sudan e protettrice delle vittime del traffico di esseri umani.
Scultura dedicata alla lotta contro la tratta di esseri umani
Non esiste una figura migliore di Bakhita per diffondere il messaggio di questa scultura. La maggior parte delle persone pensa che la schiavitù sia stata sradicata 150 anni fa. Bakhita e la sua storia sono l’inizio della scultura, ma i dati ci mostrano che che la schiavitù rimane ed è ancora presente nella nostra società . Bakhita, attraverso la brutale schiavitù che ha vissuto, ha conservato il suo amore per l’umanità e la Speranza: un modello per la nostra società sofferente che grida aiuto.
NON RIMANIAMO SORDI!!!
LIBERIAMO GLI OPPRESSI!!!
Tratta di persone: un mercato che non conosce crisi.
Sono bulgare, ungheresi, rumene, albanesi, ma anche cinesi, peruviane, nigeriane le donne trafficate a scopo sessuale, in bordelli, centri massaggio, alberghi e in strada. Costrette anche a prestazioni erotiche davanti ad una webcam. Un’“economia” sommersa che fa guadagnare più di 150 miliardi di dollari all'anno. Nel mondo la tratta coinvolge 40 milioni di schiavi, per il 72% sono donne e bambine secondo i dati 2018 dell’UNICEF, il 59% sfruttati nell’industria della prostituzione.
Bakhita . . .
ti supplichiamo di pregare
e intercedere per tutti noi: affinché non cadiamo mai più
nell’indifferenza, affinché apriamo gli occhi e possiamo guardare le miserie e le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità e della loro
libertà e ascoltare il loro grido di aiuto.
Amen.
💕
Santa Giuseppina Bakhita, prega per noi.
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