mercoledì 23 aprile 2025

«Dilexit nos: Ci ha amati»: Ritornare al cuore per cambiare il mondo.

"Da questo Amore nulla potrà mai separarci"  

"Prego il Signore Gesù che
 dal Suo Cuore santo scorrano
 per tutti noi fiumi di acqua viva 
per guarire le ferite
 che ci infliggiamo col peccato,

 per rafforzare la nostra capacità 
di amare e servire,
 per spingerci a imparare 
a camminare insieme
 verso un mondo giusto,
 solidale e fraterno. 
Questo fino a quando 
celebreremo felicemente
 uniti il banchetto 
del Regno celeste. 

Lì ci sarà
 Cristo risorto, 
che armonizzerà tutte le nostre 
differenze con la
 luce che sgorga incessantemente 
dal suo Cuore aperto.
 Che sia sempre benedetto!" 

Papa Francesco.

Ritornare al cuore
La quarta enciclica di Papa Francesco si intitola Dilexit nos, «Ci ha amati», la più sorprendente e forse anche la più bella del suo pontificato. È dedicata al Sacro Cuore di Gesù, immagine di una religiosità semplice. Il «Sacro Cuore» di Gesù è una «sintesi del Vangelo», a beneficio di  una comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti». Tra le righe, cogliamo un forte appello a lasciarci afferrare dall’amore che sgorga dal Cuore di Cristo per essere artefici di una vera trasformazione interiore e sociale. Quello stesso Gesù oggi aspetta che tu gli dia la possibilità di illuminare la tua esistenza, di farti alzare, di riempirti con la sua forza perché «insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore. Se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato.


La devozione al «Sacro Cuore»
La devozione al «Sacro Cuore» di Gesù era cominciata nel 1673, nella Francia di Luigi XIV, quando una religiosa nata in Borgogna, suor Margherita Maria Alacoque, cominciò a raccontare che le era apparso quel cuore sormontato da una croce e circondato da spine su un trono di fiamme. Quel simbolo assunse poi connotazioni politiche reazionarie e monarchiche, come i contadini della Vandea avversi alla Rivoluzione francese e al secolo dei Lumi. Ma dalla fine dell’Ottocento, a partire da papa Leone XIII, cominciò ad assumere un significato di rinnovamento spirituale e sociale e con Benedetto XV divenne un’immagine dell’amore verso i nemici dopo l’inutile strage della Grande Guerra.

La fede tenera e gioiosa
Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro. In Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale. Prendere sul serio il cuore ha conseguenze sociali meravigliose. Ma oggi sembra che il cristianesimo  ha dimenticato la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo, l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale». Per Francesco, «il mondo può cambiare a partire dal cuore» perché «gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo». Nella prima parte, è come se opponesse l’immagine del cuore all’ «io penso» cartesiano, con un riferimento all’intelligenza artificiale: «Si potrebbe dire che, in ultima analisi, io sono il mio cuore, perché esso è ciò che mi distingue, mi configura nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con le altre persone. L’algoritmo all’opera nel mondo digitale dimostra che i nostri pensieri e le decisioni della nostra volontà sono molto più “standard” di quanto potremmo pensare. Sono facilmente prevedibili e manipolabili. Non così il cuore».

Poesia e amore.
Così, «nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore». Francesco ha scritto l'enciclica in spagnolo, la sua lingua madre. Nel testo trapelano ricordi personali fatti di tenerezza come giocare la prima partita di calcio con un pallone di pezza, conservare dei vermetti in una scatola di scarpe, seccare un fiore tra le pagine di un libro, prendersi cura di un uccellino caduto dal nido, esprimere un desiderio sfogliando una margherita…».
Già in Omero e nella stessa Bibbia, del resto, il cuore era considerato «non solo come centro corporeo» ma «il nucleo spirituale dell’essere umano», insieme pensiero e sentimento. Ma la stessa «svalutazione attuale» del cuore «viene da lontano», considera Francesco: «La troviamo già nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo nelle sue varie forme. Il cuore ha avuto poco spazio nell’antropologia e risulta una nozione estranea al grande pensiero filosofico. Si sono preferiti altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà. Il suo significato è impreciso e non gli è stato concesso un posto specifico nella vita umana. Forse perché non era facile collocarlo tra le idee “chiare e distinte” o per la difficoltà che comporta la conoscenza di sé stessi: sembrerebbe che la realtà più intima sia anche la più lontana per la nostra conoscenza».

La società «anti-cuore»
Viene in mente la lettera apostolica nella quale Francesco citava Proust e Borges per dire l’importanza della letteratura nella formazione dei cristiani. In uno dei passi più intensi dell’enciclica si legge: «Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore. Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo». Solo il cuore rende possibile legami autentici. Anche in questi sta la crisi della fede: «L’anti-cuore è una società sempre più dominata dal narcisismo e dall’autoreferenzialità, alla fine si arriva alla “perdita del desiderio”, perché l’altro scompare dall’orizzonte e ci si chiude nel proprio io. Di conseguenza, diventiamo incapaci di accogliere Dio».
Francesco, comunque, spiega nell’enciclica che non si può dire che questo culto «debba la sua origine a rivelazioni private» e precede le «rivelazioni private», cioè le visioni cui i credenti «non sono obbligati a credere», ricorda. Prima di ripercorrere la storia della devozione nella Chiesa e nei santi, da Agostino a Ignazio di Loyola a Santa Teresa di Gesù Bambino, Francesco rintraccia i riferimenti nelle Scritture. E certo è affascinante, dopo quattro secoli, vedere il primo Papa gesuita della storia contrastare, come all’origine, il «giansenismo» e quel «rigorismo» che «guardava dall’alto in basso tutto ciò che era umano, affettivo, corporeo», un «atteggiamento elitario» che si ripropone nel nostro tempo come una «spiritualità senza carne». La trascendenza disincarnata, come la secolarizzazione, sono «malattie tanto attuali» che «mi spingono a proporre a tutta la Chiesa un nuovo approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato nel suo santo Cuore: lì possiamo trovare tutto il Vangelo».

Il potere del denaro.
La Chiesa non DEVE sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di Potere e Ricchezza. Adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità. Alla fine, è come se Francesco invitasse a leggere le sue encicliche precedenti, e il suo stesso pontificato, alla luce di ciò che scrive in Dilexit nos. Le sue riflessioni sulla realtà centrata sul dio denaro attingono ai fondamenti del Vangelo. Bisogna guardarsi dal cedere alla tentazione di idolatrare il denaro. Significherebbe indebolire la nostra fede e correre così il rischio di assuefarsi all’inganno di desideri insensati e dannosi, tali da portare l’uomo sul punto di affogare nella rovina e nella perdizione. Da questo pericolo ha messo in guardia Papa Francesco sottolineando che «Gesù ci aveva detto chiaramente, e anche definitivamente, che non si possono servire due signori: non si può servire Dio e il denaro. C’è qualcosa tra questi due che non va. C’è qualcosa nell’atteggiamento di amore verso il denaro che ci allontana da Dio». E citando la prima lettera di san Paolo a Timoteo (6, 2-12), il Papa ha detto: «Quelli che vogliono arricchirsi cadono nella tentazione dell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione». L’avidità infatti «è la radice di tutti i mali. Presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti. È tanto il potere del denaro che ti fa deviare dalla fede pura. Ti toglie la fede, l’indebolisce e tu la perdi».  «Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre».

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