Autorità o autorevolezza?
Il dilemma di essere educatori oggi
Riflettiamo su ……………..
L’educare – dal latino e-ducere,
“condurre fuori” (metafora dell’opera dell’ostetrico, che conduce il
bambino fuori dell’utero materno) –ha sempre a che fare con la nascita Non
riguarda, dunque, il fare o l’avere, ma l’essere di una persona. La metafora dice però anche un’altra cosa,
che a volte si dimentica. L’ostetrico non genera direttamente il bambino. Sono
quest’ultimo e la madre i protagonisti del parto. Fuori di metafora, nel caso
dell’educazione è la persona che deve, per così dire, partorire se stessa,
la propria forma interiore. All’educatore spetta, perciò, non di plasmare
il volto dell’altro, ma di aiutarlo ad emergere, accompagnandone la crescita.
In questo senso, più che essere la cura nei confronti di qualcuno, l’educazione consiste nel
richiamarlo ad avere lui stesso cura di sé, del proprio essere. Di
quello che chiamiamo “io”. L’educatore ricopre in genere un ruolo che gli
conferisce autorità: di genitore, di docente, di parroco etc.. Questo oggi
costituisce un problema, perché la nostra società confonde l’autorità col
potere. In realtà si tratta di cose molto diverse. Il potere è una capacità di coercizione
nei confronti di un altro, che lo tratta come un oggetto e ne dispone,
perciò, indipendentemente dal suo riconoscimento. Così è del potere economico,
di quello psicologico, di quello fisico, che non hanno bisogno, per essere
esercitati efficacemente, del consenso di
chi li subisce. L’autorità opera diversamente.
Di Gesù, nel Vangelo, si dice che la gente era ammirata perché parlava con
autorità e non come i loro scribi. Ma il potere lo avevano gli scribi, non
Gesù! L’autorità, infatti, è la qualità per cui qualcuno non costringe
l’altro, ma è degno che questi liberamente lo ascolti e gli obbedisca. L’obbedienza
indica un atto libero di riconoscimento e
di consenso. Il rapito non può obbedire al rapitore, perché ne è trascinato
indipendentemente dalla propria volontà. L’obbedienza, invece, implica sempre
la possibilità di dire di no, anche se ciò, ovviamente, può comportare un prezzo.
Resta l’interrogativo: perché
obbedire? In latino auctoritas deriva dal verbo augere, che vuol dire “far nascere”, “far crescere”.
L’altro sostantivo che ne deriva, insieme ad auctoritas, è auctor, “autore”.
Si ha auctoritas perché si è auctor, si è fatto nascere e si fa crescere un singolo,
oppure una comunità. Non a caso Paolo dice che la fonte di ogni autorità è
Dio, l’Auctor supremo. E quando - anche a livello semplicemente umano -
qualcuno esercita la sua autorità, è come se si ripetesse l’atto originario
della creazione, perché in quella
situazione si riflette in qualche modo la relazione primordiale fra Colui che
genera e l’universo che, attraverso l’uomo, dice il proprio sì. L’autorità dell’educatore non può essere vista come una forma di plagio,
e l’obbedienza
del discepolo come una resa al potere psicologico di
un altro più forte. Certo, bisogna essere all’altezza dell’autorità che si
esercita. E’ ciò che si chiama autorevolezza. Un educatore non può
limitarsi a ricoprire un ruolo che gli dà autorità: deve essere autorevole.
Ciò comporta uno stile per cui non solo egli opera per il bene
dell’altro ma lo considera un soggetto
con una sua precisa Identità. Questo non significa rinunziare a decidere,
ma l’attenzione per il punto di vista dell’altro, esponendo le proprie
ragioni, ascoltando attentamente le sue e sapendo, in certi casi,
modificare la propria posizione quando queste ultime siano convincenti. L’educatore
che talvolta sa riconoscere i propri limiti, le proprie paure, i propri stili
comunicativi ecc. diventa molto più autorevole di quello che si arrocca dietro
la propria autorità per imporre le proprie decisioni contro l’evidenza e
trasformandola così in autoritarismo. Questi spunti di riflessione non possono esaurire il
tema della figura dell’educatore, ma possono costituire un punto di partenza
perché, da parte di chi tende a riversare la responsabilità del proprio
fallimento educativo sui giovani, ci poniamo qualche domanda. Inoltre credo
in relazione alla mia personale esperienza che è fondamentale, per chi educa, avere un cuore e una passione educativa grande, che sappia coniugare
l’amorevolezza, la cura, l’intenzionalità e l’intervento
educativo
volendo
bene,
volendo il bene,
volendolo bene,
facendolo bene.
Maria Cristina
Siino
05 Agosto 2013
Nessun commento:
Posta un commento