Confronto tra Enzo Bianchi e Salvatore Natoli
Possiamo percorrere l’apparire della gloria in tre scene della Passione
secondo Giovanni, autentiche «epifanie». Gesù è stato condotto davanti a
Pilato, il rappresentante dell’imperatore Tiberio Cesare. Sono i sacerdoti ad
aver già pronunciato la condanna religiosa ma, non potendo metterla in atto in
quanto riservata al potere politico, consegnano Gesù a Pilato affinché, con
ulteriore condanna, lo metta a morte.
Pilato interroga Gesù più volte all’interno del pretorio e più volte ne
esce per parlare a quei giudei che gli hanno consegnato il condannato, ma per
tre volte deve confessare: «Io non trovo in lui colpa alcuna». Gesù non ha
commesso delitti che meritino la condanna da parte della giustizia dell’impero
romano.
Di fronte alla domanda plebiscitaria della folla, di fronte alla
maggioranza della gente che vuole Gesù morto, Pilato lo fa flagellare, i
soldati per deriderlo gli mettono sul capo una corona di spine – non una d’oro
gloriosa, ma una di aculei che gli trafiggono il capo – gli mettono la porpora
regale come mantello e inscenano una parodia inginocchiandosi davanti a lui,
dicendogli: «Salve, re dei giudei!» e colpendolo con pugni e schiaffi.
Poi Pilato prende Gesù, così ridotto, lo porta fuori perché la folla lo
veda e lo presenta: «Ecce homo! Ecco l’uomo!». Sì, questo è l’uomo! Verrebbe da
dire, con Primo Levi: «Se questo è un uomo...». Sì, questo è l’uomo nella sua
verità: vittima del male nella sua banalità e tragicità, consumato da uomini
comuni – i soldati – ma organizzato dal potere politico e religioso di questo
mondo. Questa, secondo il quarto Vangelo, non è una scena di disprezzo ma
un’epifania della gloria.
Gesù così ridotto, mite che non si vendica, che accoglie su di sé la
violenza e non la ricambia così da spezzarne definitivamente la spirale, Gesù è
l’uomo, l’uomo per eccellenza! È l’Adamo che dà la vita per gli altri anziché
prenderla agli altri, anziché voler vincere senza gli altri o sugli altri. «E
noi abbiamo visto la sua gloria!», confesserà Giovanni nella sua prima Lettera,
l’unica gloria visibile di Gesù, la gloria di Dio in Gesù suo Figlio!
La seconda epifania vede Pilato ancora titubante di fronte a Gesù che
gli dice di essere re ma non come i re di questo mondo, di essere venuto per
servire la verità, ma non rivela la propria identità, né gli dice «da dove» lui
viene. Ma il potere religioso insiste e convince Pilato di cosa significa per
lui salvare Gesù: non sarà più amico di Cesare, anzi si metterà contro Cesare.
La maggioranza vuole così: meglio avere Cesare come re totalitario che
accogliere un re mite e servo degli altri! Allora Pilato fa condurre Gesù fuori
dal pretorio e lo fa sedere nel tribunale, nel luogo chiamato «litostrato». È
la vigilia della Pasqua, il 7 aprile dell’anno 783 dalla fondazione di Roma,
verso mezzogiorno, e Pilato, dopo aver interrogato Gesù, lo presenta alla
folla: «Ecco il vostro re!».
Un Gesù torturato, prigioniero, viene fatto sedere sul trono del
giudice del tribunale nell’ora in cui i giudei attendevano la venuta del
giudice finale, Dio stesso, giudice di tutta la storia. Ancora una parodia che
però è epifania: Gesù è giudice e sta su
un trono, ma è un pover’uomo, una vittima sfigurata, oppressa, condannata a
morte, osteggiata, perseguitata... Eppure, secondo il quarto Vangelo, è proprio
questa l’epifania della gloria... Autentico capovolgimento dei nostri criteri
Mondani!
Chi è il vero nostro giudice? Gesù l’ha detto nel Vangelo di Matteo:
alla fine della storia il giudice di ciascuno di noi sarà il bisognoso: «Avevo
fame e mi avete o non mi avete dato da mangiare; ero straniero e mi avete o non
mi avete accolto; ero in carcere e siete o non siete venuti a trovarmi; ero
malato e mi avete o non mi avete visitato».
Il giudizio avviene qui e ora, e i nostri giudici sono le persone che
incontriamo, gli uomini e le donne a noi prossimi, di cui noi abbiamo o non
abbiamo cura. Il Figlio dell’uomo li rappresenta tutti. Dunque, su quel trono
posto in alto, Gesù nella Passione è giudice più che mai. Ecco allora dov’è la
sua gloria: in questa identificazione con le vittime della storia, i poveri e i
perseguitati.
La terza epifania è quella dell’ultima ora. Gesù, portando la croce, si
avvia verso la collina del Cranio, il Golgota, dove lo crocifiggono in mezzo ad
altri due condannati a morte. Il Vangelo sottolinea che Gesù è «nel mezzo», in
posizione regale. Pilato aveva fatto scrivere un cartello da mettere sulla
croce, sul quale era il «titolo», l’attributo che competeva a Gesù: «Gesù, il
Nazoreo, il Re dei Giudei».
E lo fa scrivere nelle tre lingue dell’ecumene: ebraico, greco e
latino, così che tutti lo possano leggere. È una proclamazione di Gesù re dei
giudei. Per questo i giudei la contestano e dicono a Pilato: «Devi scrivere che
lui ha preteso di essere il Re dei Giudei, mentre così sei tu a proclamarlo
tale!». Ma Pilato, come impotente di fronte a un impulso interiore, dice: «Ciò
che ho scritto, ho scritto!».
Ecco così la terza presentazione di Gesù da parte di Pilato:
presentazione che nell’intenzione di Pilato è disprezzo, ma che
nell’oggettività dello «sta scritto» è gloria! È l’epifania di Gesù, Re Messia,
ma al contrario. Non un messia vincitore dei nemici, non un messia nello
splendore di una corte regale, non un messia al cuore di una liturgia fastosa,
non un messia trionfante... No, Gesù è un messia in croce, un uomo crocifisso!
Ecco il luogo della gloria di Dio, ecco la croce che è contestazione di
ogni gloria mondana... Il quarto Vangelo capovolge il nostro modo di pensare e
fa di uno strumento di morte, la croce, uno strumento per donare la vita, per
mostrare amore e vivere l’amore fino all’estremo! Dov’è la gloria di Dio? Dove Dio ha veramente peso nella storia? Chi
dobbiamo adorare? Un crocifisso, un uomo vittima degli ingiusti, un uomo che ha
vissuto secondo la volontà di Dio. Ecco l’uomo! Ecco dove sta la gloria!
Enzo Bianchi
(articolo tratto da
www.avvenire.it)
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