DALL'EGITTO AL SINAI
UN POPOLO IN CAMMINO
Per
tutta la nostra vita saremo accompagnati dalle esperienze che Dio rende attuali per ognuno di noi raccontate nel libro dell'Esodo,
il racconto fondante del popolo di
Israele. Dalla memoria raccolta in questo libro, Israele trae il senso della sua identità come popolo di Dio e della
sua storia come esperienza di
liberazione e legame di alleanza con Dio. Per questo il libro dell'Esodo ha due parti centrali e
dominanti: il racconto del passaggio dal mare (nei capp. 14-15) e il
racconto dell'alleanza con Dio al Sinai (capp. 19-24.) Il passaggio del mare segna la liberazione dall'Egitto dove
l'esistenza del popolo di Israele era
stata sottomessa a pesi gravosi e dove il Faraone aveva espresso il progetto di
un vero e proprio genocidio del popolo di Israele per i motivi che questo popolo
era cresciuto in numero e quindi in potenza. Si narra che "gli
Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro
grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio
ascoltò il loro lamento, Dio si
ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti,
Dio se ne prese pensiero." (2,23-25) In poche righe il nome di Dio
viene ripetuto cinque volte; è il modo per dire che Dio c'è e che Dio conosce e
che Dio agisce mosso dal desiderio del bene del suo popolo. I capitoli successivi raccontano l'azione
di Dio per fare di Israele un popolo libero: la vocazione e la missione di
Mosè, il superamento di tutti i dubbi e
le paure che afferrano Mosè di fronte al compito che Dio gli affida, il
confronto con Faraone e la potenza dell'Egitto: le dieci piaghe sono i colpi con cui Dio fiacca la potenza
oppressiva dell'Egitto e lo costringe a permettere
l'uscita di Israele verso la libertà.
Il nome di Dio è "Io sono"; quando Dio si manifesta nella storia,
l'effetto è che i deboli sono rivestiti di vigore e i potenti sono privati
della loro forza. Il
culmine di questa sezione, è il racconto del passaggio del mare dei Giunchi. Israele si trova, sul far della sera, sulla
riva del mare e vede l'esercito egiziano che si schiera alle sue spalle
pronto ad attaccare e uccidere. "Gli
Israeliti ebbero grande paura e gridarono a Mosè: "E' forse perché non c'erano sepolcri in Egitto che ci hai portati
a morire nel deserto? che cosa ci hai fatto portandoci fuori dall'Egitto?
Non ti dicevamo in Egitto: Lasciaci
stare e serviremo l'Egitto, perché è meglio per noi servire l'Egitto che morire
nel deserto?" Gli Israeliti si accorgono che la via della libertà
potrà anche essere una via gloriosa, ma è certo un cammino rischioso. E nasce
nel loro cuore la tentazione: meglio vivere schiavi ma sicuri di
sopravvivere piuttosto che liberi, ma col rischio di morire. "Mosè
rispose: “Non abbiate paura! Siate forti
e vedrete la salvezza del Signore, il
quale oggi agirà per voi; perché
gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! Il Signore
combatterà per voi, e voi starete tranquilli." Israele deve avere fede in
Dio più di quanto abbia paura dell'Egitto; sarà Dio ad agire e a produrre la
liberazione, ma bisogna che Israele "si muova secondo l'indicazione di
Dio, vincendo la paura provocata dalla minaccia degli Egiziani. Il
racconto successivo è notissimo.
Mosè stende la
mano e in mezzo al mare si apre
una strada che va da occidente (l'Egitto) verso oriente (il deserto). Gli Israeliti vi camminano
durante tutta la notte; hanno alle spalle l'esercito Egiziano che significa
uccisione e morte; hanno a destra e a sinistra le acque del mare che
anch'esse significano morte. Passano dunque in mezzo alla morte ma
percorrendo una via che Dio ha tracciato per loro attraverso Mosè: la via della
libertà e della vita. Alla
veglia del mattino gli Israeliti hanno attraversato il mare e possono risalire
sulla sponda, a oriente dove per loro sorge il sole; hanno lasciato alle spalle il mare e
la morte. Gli Egiziani
cercano anche loro di percorrere la medesima strada, ma spinti dalla volontà di
dominio, verificheranno che per loro quella strada è una via di morte quando le
acque del mare li sommergeranno. "In
quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti
sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva
agito contro
l'Egitto e il popolo
temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo
servo." È bello e buono che, quando Dio agisce, l'uomo debba lodare; per questo
il passaggio del mare culmina nel cantico che Mosè e gli Israeliti intonano per
magnificare il Signore: "Voglio
cantare al Signore perchè ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha
gettato nel mare."Questo racconto fonda l'esistenza e l'identità di
Israele come popolo che deve la sua esistenza a Dio. Per questo la memoria del passaggio
del mare deve rimanere viva e accompagnare tutta la storia del popolo. Per
questo, alla luna piena di primavera, tutti gli Israeliti si raccolgono nelle
famiglie per mangiare l'agnello pasquale secondo un rito particolare che deve
ricordare loro e fare loro rivivere in modo rituale l'esperienza dei loro padri:
l'oppressione in Egitto, l'azione meravigliosa di Dio che ha operato la
liberazione. In quella cena il capofamiglia spiegherà che quello "è il
sacrificio della Pasqua per il Signore … quando colpì l'Egitto e salvò le
nostre case." Fino a che Israele custodirà questa memoria come memoria
viva, la sua identità di popolo rimarrà forte e sarà fonte di sicurezza e di
speranza.
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